Greenpeace e Arctic30, i pirati dell’Artico

Pubblicato il 25 Nov 2013 - 6:00pm di Redazione

Arctic30 e greenpeace:vittime dell’ ambiente… politico

Greenpeace

La storia di Cristian D’alessandro e degli altri Arctic30 inizia il 18 settembre quando, a bordo della Arctic Sunrise, gli attivisti Greenpeace tentano di interrompere i lavori della piattaforma petrolifera Prirazlomnaya appartenente alla famosa Gazprom. Non era la prima volta che Greenpeace si occupava dell’estrazione petrolifera nell’Artico però, come lo stesso sito di Greenpeace Italia dichiara, inspiegabilmente stavolta la guardia costiera russa ha reagito veementemente da subito contro gli Arctic30 abbordando, come mostra il video esclusivo inserito nel sito di Greenpeace Italia, la ArcticSunrise (che tra l’altro si trovava in acque internazionali), arrestando immediatamente due degli attivisti e fermando, poi, tutti gli altri 28.

 

L’accusa iniziale è quella di pirateria, per la quale in Russia sono previsti 7 anni di detenzione. Il reato di pirateria è dettagliatamente codificato dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1982 e viene definito come:  ogni atto di violenza illegittimo di detenzione e ogni depredazione commessi dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, a scopo personale; la partecipazione volontaria all’impiego di una nave o di un aeromobile, svolta con piena conoscenza dei fatti che conferiscono a detta nave o detto aeromobile l’attributo di pirata e l’istigazione a commettere gli atti precedentemente nominati.

Ora, come dichiara l’associazione Greenpeace Italia, la nave Arctic Sunrise non ha né depredato né danneggiato la piattaforma petrolifera e, per quanto riguarda l’azione violenta che determinerebbe il reato di pirateria, è pressoché inesistente. Come è risaputo, per quanto forti e radicali, gli interventi di Greenpeace sono, infatti, proteste pacifiche, motivate dalla forte convinzione che proteggere la natura sia un dovere umano.

Le accuse di pirateria, dunque, sembrerebbero cadere proprio per mancanza di reato.

La storia degli Arctic30 prosegue con circa 60 giorni di carcere russo prima a Murmansk e poi nelle celle di San Pietroburgo, tra l’interesse mediatico e gli appelli delle famiglie a che la diplomazia internazionale intervenisse. Il risultato qual è? Alcuni degli Arctic30 sono stati rilasciati… su cauzione però; hanno cioè pagato per riottenere la propria libertà minata da ambigue motivazioni e sospetti di reato. Tralasciando le numerose questioni politiche ed economiche che aleggiano dietro il caso, va infatti ricordato che la Gazprom è prima produttrice di gas naturale al mondo e terza per riserve di petrolio, parliamo delle motivazioni che hanno spinto Greenpeace a intervenire proprio su quella piattaforma.

alluvione_sardegnaL’installazione di piattaforme petrolifere in acque gelate, come quelle russe, non solo sfrutta risorse terrestri importanti, fa sapere Greenpeace, ma, inoltre, nel caso estremo in cui la piattaforma dovesse danneggiarsi e riversare in acqua il greggio, non si potrebbe intervenire per marginare i danni perché le attuali manovre di depurazione dell’acqua necessitano di temperature più elevate rispetto a quelle del mare russo. Il che in prospettiva potrebbe significare economicamente un grande dispendio di denaro per risolvere il versamento di petrolio, e ambientalmente un’alterazione del delicato ecosistema artico, oltre che la morte di numerose specie animali e vegetali. La zona in questione è tra l’altro interessata dal fenomeno dello scioglimento dei ghiacci, sintomo dell’innalzamento delle temperature. Il Protocollo di Kyoto, stipulato nel 1997 ma attivo effettivamente solo nel 2005 dopo la ratifica della Russia, e quello di “Kyoto 2” che prolunga il primo protocollo dal 2012 al 2020 sembrano, infatti, non essere presi in considerazione: il massimo aumento di temperatura previsto di due gradi è già stato superato di quasi il doppio attestandosi sui 3,6 gradi. Potrebbe sembrare un fattore irrisorio, ma eventi tragici come quello accaduto in Sardegna in questi giorni possono essere collegati proprio al precario equilibrio naturale che si sta sempre più complicando, causando eventi impensabili fino a 20 anni fa per i quali paesi come l’Italia sono impreparati.

Una politica ambientale seria e fattiva potrebbe essere la soluzione. Il rispetto della natura e delle sue risorse significherebbe il rispetto e la protezione di noi cittadini, oltre che la creazione di posti lavoro, dato che gli ambiti energetico ed ecologico permetterebbero numerosi impieghi lavorativi se solo in Italia ci fosse la volontà e la determinazione di investire in tali settori.

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