Il Sud e l’insostenibilità dell’ambiente

Pubblicato il 20 Lug 2014 - 5:00pm di Redazione

La recente ricerca OCSE sul benessere delle regioni mette la Basilicata al terzo posto in Italia per qualità dell’ambiente. Eppure, in una delle regioni europee fra le più sfruttate per l’approvvigionamento petrolifero, il dato suona quantomeno strano. Cerchiamo di capire il perché di una simile anomalia.

ambiente

Come faceva notare Alfonso Ruffo sul Sole24Ore del 13 luglio, l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, n.d.r.), nel generale disinteresse dei non addetti ai lavori, ha recentemente aggiornato il suo rapporto “OECD Regional Well-Being”, che misura il benessere di ciascuna regione dei paesi “ricchi” comparando otto parametri ritenuti fondamentali per il buen vivir: Ambiente, Accesso ai servizi, Senso civico, Educazione, Lavoro, Reddito, Salute, Sicurezza.

Il dato che non sconvolge assolutamente è la diffusa situazione di disagio che risulta dalle rilevazioni delle regioni del Sud Italia e di tutti i Sud dei Paesi cosiddetti sviluppati (a essere oggetto degli studi OCSE sono solo i paesi a regime democratico e con un’economia di mercato). Dallo studio, di cui alleghiamo il link, notiamo come tante regioni europee, come l’Alentejo contadino narrato da Josè Saramago o l’Andalusia o ancora le isole Egee e Creta- solo per citarne alcune- siano accomunate da parametri molto simili fra loro: valori medio-alti per quanto riguarda sicurezza e salute e assolutamente carenti per quanto riguarda lavoro, reddito e accesso ai servizi. Insomma, le rilevazioni dell’OCSE ci restituiscono il solito pregiudizio sui vari Sud considerati: regioni che, ciascuna in maniera diversa, danno un’idea di tranquilla povertà, dove “alla fine si sta bene anche stando peggio”. Un refrain che abbiamo già sentito troppe volte.

Ciò che più di ogni altra cosa sconvolge, però, sono alcuni parametri che vanno pesantemente a confliggere con il più schietto buonsenso comune: così, fra le tante cose, notiamo che una regione come la Basilicata, dove le indiscutibili bellezze naturali sono stuprate da oltre 25 anni da estrazioni petrolifere e stoccaggio di rifiuti tossici e non, risulti al terzo posto in Italia per qualità dell’ambiente. Per chiunque abbia un minimo di conoscenza dello sfruttamento neocoloniale messo in atto dalle multinazionali del petrolio, per chi ha visto enormi invasi di acqua inquinati da piombo e metalli pesanti, per chiunque, insomma, riesca a vedere la realtà lucana senza i paraocchi della malafede, è chiaro come un dato simile non rispecchi minimamente la realtà dei fatti.

Per quanto riguarda lavoro e reddito i dati sono assolutamente in linea con la realtà e dimostrano come il fallimento del capitalismo industriale esportato (leggi FIAT a Melfi) e l’estrazione petrolifera non abbiamo fatto altro che portare disoccupazione, povertà ed emigrazione: 1.9/10 il punteggio per quanto riguarda il lavoro, 2.9/10 per quanto riguarda il reddito.

A questo punto diviene fondamentale chiedersi come è determinato quel voto di 6.1/10 in materia di qualità dell’ambiente, assegnato a questo spicchio di terra fra Ionio e Tirreno. Andando a scandagliare i criteri di valutazione dei vari parametri notiamo che per ciascuno di essi sono considerati più indicatori; ogni indicatore è espresso in una data unità di misura e le rilevazioni vengono prese dai vari enti competenti nazionali (ad es., per quanto riguarda il rating del reddito norvegese si considera il reddito disponibile delle famiglie, misurato in dollari e a prezzi costanti dallo “Statistics Norway”, su per giù la nostra ISTAT). Per quanto riguarda il parametro “Ambiente”, invece, l’indicatore è unico, misurato da un ristretto manipolo di professori universitari americani: a determinare la qualità dell’ambiente è unicamente la qualità dell’aria, misurata in maniera sicuramente opinabile dal livello medio di PM2.5, ovvero di polveri fini. Come sappiamo, l’emissione di polveri fini è data principalmente dagli scarichi dei veicoli e dalla combustione di carbone o legna da ardere. La relazione  con l’estrazione petrolifera è, dunque, rilevabile solo in senso lato, come relazione fra combustione di benzina e diesel ed emissioni di particolato.

In altri termini, gli abitanti di Viggiano, comune in cui ha sede il più grande centro oli d’Europa, stando a quanto sostiene l’OCSE, potrebbero ben dirsi soddisfatti della qualità dell’aria, a causa dello scarso sfruttamento industriale del territorio e dei modestissimi scarichi dei veicoli (escluse le enormi autocisterne ENI, si fa ben poco uso di benzina e idrocarburi derivati, anche a causa dell’enorme gap infrastrutturale, ma questo è un altro discorso). Eppure, chi abita a pochi passi dal Centro Oli sa molto meglio dei professori universitari di cui sopra cosa significa respirare la puzza di uova marce causata dall’enorme concentrazione nell’aria di acido solfidrico, sa cosa significa ammalarsi di tumore o vedere morire i propri cari. In molti comuni della Basilicata, purtroppo, sono sempre meno le famiglie che possono dire di non avere parenti ammalati, o con problemi respiratori, o morti per un tumore.

L’OCSE, organizzazione di cui l’attuale Ministro dell’Economia Padoan è stato vice segretario generale dal 2007 e capo economista dal 2009, ci  dà, insomma, una visione assolutamente arbitraria di quella che è la “qualità dell’ambiente”, volta a giustificare attività umane assolutamente incompatibili con la tutela ambientale quali possono essere, appunto, le estrazioni petrolifere. Il problema non nasce né muore nelle contraddizioni riguardanti una misurazione su una piccola regione del Sud Italia, ma il caso Basilicata è ben esemplificativo di come l’OCSE, come tante altre organizzazioni e gruppi di potere, miri a declinare la sostenibilità ambientale in senso esclusivamente micro (vedi sopra, con le emissioni di particolato degli autoveicoli), senza considerare un quadro davvero mondiale, di insostenibilità di certe politiche industriali e di sfruttamento delle risorse naturali e umane.

Insomma, in Basilicata, come in ogni altro angolo di questo pianeta, ci ritroviamo davanti a due poli incompatibili fra loro: da un lato il famoso 1% dei detentori dei mezzi di produzione e i loro particolarissimi interessi economici, dall’altro lato l’ambiente, il reddito, la giustizia sociale. E in mezzo…noi.

Info sull'Autore

Lascia Una Risposta