Anime belle, manichei o filosofi dialettici?

Pubblicato il 29 Mag 2014 - 5:19pm di Redazione

Genesi particolare e validità universale: perché difendere la verità filosofica contro i riduzionismi ideologici

verità

«Vi furono un tempo dei “marxisti”, nel nostro Paese, i quali asserivano che le ferrovie rimasteci dopo la Rivoluzione d’Ottobre erano ferrovie borghesi, che sarebbe stato sconveniente per noi marxisti utilizzarle, che avrebbero dovuto essere divelte e che occorreva costruire delle ferrovie nuove, “proletarie”. Per questo essi furono soprannominati “trogloditi». (Iosif Stalin)

Sostituite “ferrovie” con “concetti”, ed avrete il profilo di un gran numero di sedicenti anti-capitalisti del nostro tempo, in realtà produttori compulsivi di sterili ideologie “anti-qualcosa”. Ma facciamo un passo indietro. Come il grande filosofo Costanzo Preve insegna, il pensiero critico deve sempre avere due sguardi quando esprime un giudizio su un concetto filosofico, e sulla sua verità. Uno che riguardi la genesi particolare e quindi l’uso ideologico che ne viene fatto nella determinazione storica, ed uno sulla validità universale e metastorica (quindi autenticamente filosofica) di tale concetto. Oscurare uno dei due aspetti è fare ideologia, non filosofia. Pertanto, una teoria che voglia mettere al centro della sua ricerca la verità – e che sia al contempo guida dell’azione trasformativa sul presente – deve evitare di cadere nel facile errore di assumere un unico punto di vista. Errore in cui, ahimè, si cade tanto più ci si pone su posizioni radicalmente critiche dell’ideologia dominante.

Se ad essere oscurata è la genesi concreta di un concetto filosofico e il suo uso ideologico, non si comprendono gli interessi particolari che si celano dietro il dominio incontrastato di certi assunti, propagandati da un certo “clero intellettuale”, presso l’opinione pubblica. Di esempi di questo tipo, nella nostra epoca, la più ideologica della storia – proprio perché si ritiene non ideologica – ne abbiamo in quantità. Per citarne uno: la cecità (quando ovviamente non è malafede) delle “anime belle” del “ceto medio semi-kolto” di sinistra, quelle che comprano “La Repubblica” e provano orgasmi multipli leggendo un articolo di Concita de Gregorio. Tipica di questi “utili idioti” è la legittimazione dei “bombardamenti etici”attraverso l’ideologia dei diritti umani, che include la prassi consolidata della demonizzazione del “dittatore” di turno che non si allinea al dominio dell’imperialismo nord-atlantico. Quindi, se un concetto filosofico – che può anche mostrare un certo grado di verità – viene utilizzato per legittimare azioni che lo negano, se ne sta facendo un uso ideologico.

veritàTuttavia nel denunciare, smascherare e criticare l’uso ideologico che viene fatto di certe idee si rischia di cadere nell’errore opposto, cioè di trascurare la vocazione essenzialmente veritativa del pensiero. Se ad essere oscurata è la validità universale si perde di vista la verità filosofica. Infatti, l’appiattire qualsiasi concetto alla propria genesi particolare e alla funzione ideologica assolta è quanto di più nefasto possa accadere al pensiero, poiché un riduzionismo simile causa una inevitabile ricaduta nel relativismo – economicistico, sociologistico o (geo)politicistico che sia – con la radicale sottomissione della filosofia alle discipline particolari, che invece dovrebbero essere soltanto strumenti della ricerca della verità filosofica.

Alla base di questa mia posizione vi è una convinzione che rivendico con fermezza, trasmessami dalla lettura di Costanzo Preve, cioè che sia essenziale la rottura della nota posizione leniniana, secondo la quale non vi sarebbe alternativa tra ideologia borghese e ideologia socialista: «La questione si può porre solamente così: o ideologia borghese o ideologia socialista». Tale rottura deve passare per il riconoscimento della filosofia come scienza (Wissenshaft) della ricerca di una verità universale, intesa come buona vita sociale comunitaria. Invece, la ricaduta nell’ideologia è tipica, per fare un esempio, di chi eleva politica e geopolitica a idoli da cui trarre ogni valutazione sulle idee e sulle azioni che vengono compiute.

Il giudizio in questi casi opera la scissione – che, come ha fatto notare lo storico e filosofo tedesco Reinhart Koselleck, è l’essenza della modernità – del mondo (e del mondo delle idee) in due fronti contrapposti, amici/nemici, sulla base della quale valutare ogni cosa. Il “maître à penser” di turno, per esempio, legge la totalità contemporanea come una contrapposizione tra americanismo e anti-americanismo, e a partire da questo schema semplicistico e manicheo scinde anche il mondo iperuranico, come mondo delle ideologie contrapposte, traendovi da ciò ogni giudizio, su ogni cosa. Diritti civili = male, diritti sociali = bene; ideologia femminista = male, ideologia patriarcale = bene; dogmatismo scientista = male, dogmatismo religioso = bene… E così di seguito su tutto lo scibile umano. Dalla sacrosanta critica alla reductio ad Hitlerum di chi non si allinea con il fronte atlantico alla santificazione di ogni dittatore che si trovi sulla faccia della terra il passo è brevissimo. Altrettanto breve è il passo che intercorre tra la critica all’“ideologia dell’accoglienza” – che in effetti è uno strumento per legittimare la creazione di un esercito di lavoratori sottopagati – e la volontà di sparare sui barconi dei migranti, senza preoccuparsi del diritto universale all’esistenza.

Non intendo dire che non si possano fare scelte concrete, guidate da valutazioni di opportunità politica, che tengano conto dell’assetto economico e geopolitico globale, altrimenti ricadrei nell’ingenuità delle “anime belle” di sinistra e nell’idiozia di coloro che: «Sono contro Putin perché è omofobo», oppure: «Io non sto né con Israele né con la Palestina, sono per la fratellanza». Ma questo non significa che ci si debba esimere da una valutazione che tenga conto della verità filosofica universale che, anche se spesso necessita di un ingente sforzo dialettico, è l’orizzonte irrinunciabile di ogni ricerca che valga la pena di essere compiuta. Chi vi rinuncia – credendo di potersi esimere dalla “fatica del concetto” – è complice della conservazione di un mondo falso che, come diceva Bloch, «vuol tornare a casa per mezzo degli uomini e della verità».

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