Anni Ottanta, sono stati davvero “anni di fango”?

Pubblicato il 25 Apr 2015 - 6:57pm di Redazione

Anni Ottanta, anche detti  decennio “buio”. Umberto Eco li ha definiti “anni favolosi, di meraviglia”, Indro Montanelli invece “anni di fango”, tutte descrizioni controverse. Tra il 1980 e il 1990 l’Italia è stata protagonista di un passaggio epocale, a dimostrarlo sono i prodotti e i consumi culturali di quella generazione.

Abbiamo incontrato il professor Giovanni Ciofalo del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’ Università Sapienza di Roma, autore del saggio “Infiniti Anni Ottanta. TV, cultura e società alle origini del nostro presente” (2011, Mondadori Università). Il docente ha realizzato una stimolante riflessione sull’argomento.

Anni Ottanta

D: Professor Ciofalo, il suo saggio è un’analisi storico-culturale, un libro semplice ed accessibile anche a chi non ha studi sociologici alle spalle. Dunque, saprebbe fare un po’ di luce su quegli anni? Sono stati davvero  “di fango” oppure c’è qualcosa da scoprire al di là del tunnel? “Cosa resterà degli anni Ottanta” alle generazioni future?

R: « Le definizioni citate, ovvero “di fango”, “favolosi, di meraviglia”, sono le categorie utilizzate per analizzare questo periodo. E’ anche interessante il fatto che una canzone popolare come quella di Raf, presentata nell’edizione di “Sanremo” che chiude il decennio, rimanga un po’ come reframe, “ritornello”, che accompagna apparentemente la fine di quel periodo. Nell’ambito degli studi sull’industria culturale italiana, gli anni Ottanta costituiscono un periodo certamente emblematico perché sanciscono l’inizio di un cambiamento senza precedenti. Con questo saggio ho cercato di inquadrare le coordinate interpretative in grado di diminuire le distanze fra le due definizioni iniziali, fornendo una base di dati sociali, economici, tecnologici legati all’evoluzione dei settori dell’industria culturale, come TV, cinema, editoria, fumetto. Gli anni Ottanta sono un periodo controverso, caratterizzato da un desiderio fortissimo di voltare pagina rispetto agli anni Settanta. Noti appunto come “anni di piombo”, anche questi ultimi sono frequentemente qualificati in maniera abbastanza traçant. Ma rappresentano, in realtà, anni di fervente attività per le istanze legate al divorzio, per la fine del monopolio pubblico. Su tali premesse si sviluppano gli anni Ottanta. L’idea fondamentale del mio saggio è stata capire in che modo i processi avviati si siano gradualmente trasformati fino quasi a diventare “invisibili”, divenendo davvero le fondamenta del nostro presente. Gli italiani, a seguito del boom economico, iniziano a disporre di un maggiore reddito. Di conseguenza, cambiano la spesa legata ai loro prodotti “guida”, quelli tradizionali riferiti all’alimentazione, alla casa, alle esigenze primarie. L’Italia scopre, così, la ricchezza del consumo culturale out-door  e in-door, cioè sia fuori che nelle mura domestiche. Tutto questo perché si concretizza davvero una rivoluzione mediale senza precedenti a livello internazionale. »

Mani Pulite, Antonio Di Pietro

Mani Pulite, Antonio Di Pietro

D: E’ stata, perciò, una fase produttiva dal punto di vista culturale. Spesso si enfatizza l’aspetto“buio” di quegli anni, riferendosi a “Tangentopoli”. Si parla ancora di cronaca. Dal suo libro si evince una propensione degli italiani verso il consumo culturale. Quando ha iniziato l’indagine ha avuto difficoltà nella ricerca di materiale bibliografico? 

R: « Riprendo questo spunto per legarmi al cosiddetto “effetto agenda”. Mi spiego. La serie “1992” prodotta da Sky ha – secondo me- riportato all’attenzione un anno particolare. In questo periodo si avviano le attività di Di Pietro e dello scandalo successivo di “Tangentopoli”, culminato nella fine della “Prima Repubblica”. Dal mio punto di vista, ma anche secondo altri esperti come Colombo, il 1992 è da considerarsi una tappa causata dal cambiamento innescato precedentemente. Pensiamo alla televisione, un terreno di sperimentazione talvolta addirittura “artigianale”, che cambia forma. Emerge difatti la centralità di Fininvest – oggi Mediaset -, che mette in crisi la classe politica illusa di poter controllare questa “rivoluzione” [ndr.]. La TV in quegli anni è quello che potremmo definire il “nuovo mezzo per eccellenza”. E’ la scoperta delle nuove generazioni, dovuta ad un’offerta culturale vastissima. I testi di tale medium venivano offerti con modalità prima inesistenti. Non è semplice ricostruire cause ed effetti, però certamente la moltiplicazione degli stili di vita rappresentati e dei prodotti veicolati attraverso nuove forme di pubblicità (Carosello termina nel ’77) conduce gli italiani verso la dimensione del “consumismo”. Valutare tale passaggio storico non vuol dire necessariamente condannarlo, ma cercare di capire cosa ha comportato […]. »

D: Quindi, in termini percentuali gli altri consumi culturali, come editoria e cinema, erano diminuiti a favore della fruizione televisiva? 

R: « A livello generale tutti i consumi aumentano, se poi analizziamo nello specifico gli indici ci accorgiamo che alcuni aspetti mutano lo scenario. I prodotti culturali sono più accessibili, più fruibili e diventano un traguardo da raggiungere, alla luce di un’ “effervescenza” che poi rivelerà anche dei lati oscuri. Il cinema si vede di più. Tuttavia, stilando una classifica dei dieci Blockbuster più venduti, ci si accorge che l’industria italiana tendeva ad “omologare” la forma narrativa dei film italiani. Tutte le pellicole che superavano la soglia di successo erano essenzialmente commedie. E’ un trend interessante perché mette chiaramente in luce come la cinematografia risentisse dell’influenza della televisione. Negli anni Ottanta, questo medium ha infatti “cannibalizzato” il cinema. Le TV private cambiano le carte in tavola [ndr.], non rispettando il gentleman agreement della RAI, secondo cui i film potevano andare in onda solo dopo un numero prestabilito di anni dall’uscita nelle sale. Le reti privati attingono ad archivi di film acquistati a basso costo che reimmettono immediatamente in circuito per attirare audience. […] La commedia attesta una sorta di assioma nell’industria culturale di questi anni, ovvero “se ha successo si può replicare” così “la formula diventa forma” e si riducono le varietà di genere. Gli italiani che vanno al cinema per pellicole made-in-Italy preferiscono le commedie. »

Massimo Troisi

Ricomincio da tre, Massimo Troisi, 1981

D: Quello che succedeva con Massimo Troisi e Luciano De Crescenzo?

R: « Esattamente. Bisogna riflettere sul perché gli italiani preferissero quel genere nostrano ma fruivano volentieri pellicole americane d’avventura, fantascienza, sentimentali. L’industria cinematografia italiana risente di una riduzione in termini di contenuti, già innescata nel 1970. Ciononostante c’è un incremento di consumi anche nell’editoria. Gli indici di lettura in questi anni sono più che confortanti. Tale fenomeno si attenuerà […] poiché inevitabilmente le altre offerte culturali creeranno maggiore concorrenza. Muta il bacino di scelte possibili per il tempo libero. »

D: Facendo un paragone con l’attualità, invece, e riferendoci ai dati Istat sul calo dei lettori nel 2014 rispetto al 2013, vale lo stesso discorso? Una valutazione di questo tipo deve tener conto, perciò, di altre modalità di fruizione? 

R: « […] L’Italia non è mai stata il Paese con l’indice di lettura più elevato in Europa o in Occidente. E’ inutile negarlo. Al tempo stesso, dal mio punto di vista, prendere dati connessi solo ad alcuni consumi culturali e leggerli individualmente può condurre a valutazioni ossimoriche come lo è stato per gli “anni di fango” e “splendenti”. La lettura si basa su un processo di alfabetizzazione specifica, detto in parole povere: i bambini imparano ad utilizzare velocemente uno smartphone perché è intuitivo e semplice mentre leggere è un’attività che si acquisisce più lentamente ed un processo di decodifica più “ostico”. […]»

D: Su questo punto ci soffermiamo volentieri. Quali ricerche, a tal proposito, sta svolgendo in questi mesi con il Dipartimento “Coris” della Sapienza e che vuole condividere con i lettori di Correttainformazione.it ? 

R: « Gli anni Ottanta sono stati un decennio fondamentale per l’osservazione scientifico-accademico. Sono stati un punto di partenza per interpretare il nostro media-system. Oggi stiamo attraversando una nuova fase “congiunturale” e cioè un tipo di cambiamento al quale come italiani vogliamo e abbiamo aderito. Tale fenomeno è determinato dalla velocità dell’innovazione e dell’informazione. Stiamo approfondendo nuovi territori sociali e mediali e il corso Social Media Management per le lauree magistrali del “Coris” è un laboratorio di sperimentazione privilegiato sia per il nesso con l’ “industria culturale”, che per tematiche più “ecologiche” dei mass media italiani e della comunicazione in generale […]. I Social Media e i Social Network Sites hanno innescato una metamorfosi culturale e sociale. Oggi decodifichiamo e ridecliniamo qualsiasi tipo di testo sui social. Basti pensare a Facebook, probabilmente si trasformerà in quella che noi definiamo “TV generalista” con milioni si utenti ancora. Paradossalmente, però, in un futuro prossimo non riuscirà ad attirare i più giovani. E’ utile studiare in tempo reale il moderno scenario rapportandolo alle categorie sociali e culturali passate, tenendo presente che non tutte le storie sono uguali. »

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