Costa Concordia a Piombino: cosa c’è dietro?

Pubblicato il 13 Set 2013 - 2:00pm di Redazione

I costi per il trasferimento della Costa Concordia a Piombino. Retroscena di un “caso italiano

di Giuseppangelo Canterino

Concordia: ok a rotazione, operazione entro fine settembre

È un’Ansa di ieri, 12 settembre 2013, quella che annuncia “un’impresa mai tentata prima”. Così il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, sull’operazione di rotazione della Concordia al Giglio. Gabrielli ha confermato che l’operazione partirà, condizioni meteo marine permettendo, alle 6,00 di lunedì prossimo. Tutte le fasi del progetto, ha spiegato, “sono state approvate e validate”. Lo stesso Gabrielli ha poi sottolineato che la ricerca dei corpi dei due dispersi è “una priorità” e che “Le ricerche saranno avviate quando la nave sarà stabilizzata”.

Ma cosa c’è realmente dietro tanta attesa e tanta meticolosità per la rimozione di un simile relitto? Veniamo ai fatti e cerchiamo di capirne qualcosa.

Nel febbraio scorso, da un’analisi messa a punto dalla giornalista Nadia Francalacci su ‘America Oggi’, si evinceva l’ingente somma di denaro che sarebbe stata (inizialmente) stanziata dall’allora Governo Monti per rimuovere la nave dalla sua posizione. Una manovra esosa e senza eguali, propria delle “decisioni di fine mandato” (viene da dire), capace di mettere mano sui fondi pubblici sfruttando “l’urgenza e della necessità del caso”. Infatti, il Ministro dell’Ambiente in carica all’epoca, Corrado Clini, faceva “salpare” dalle casse dello Stato la “modica” cifra di 5 milioni di euro, che sarebbe stata utilizzata per “tamponare” le spese di rimozione del relitto oggetto di cronaca.

La notizia non è mai stata data ufficialmente, ma è trapelata in una intervista rilasciata dallo stesso Ministro Clini a una emittente radiofonica privata. In sostanza le tasse pagate dagli italiani, compresa la tanto odiata Imu, sarebbero in parte finite per “sollevare” la Costa Concordia e a dare un “aiutino”, anche se in modo indiretto, alla società di gestione: Costa Crociere. Proprio a colei che, dopo tale disastro, dovrebbe indennizzare gli italiani per i danni subiti. ‘’Il costo è a carico dell’impresa. C’è anche un contributo pubblico da quantificare: al momento abbiamo messo a disposizione 5 milioni di euro come Ministero dell’Ambiente“. “Sappiamo però che questi costi sono le spese dirette, c’è poi tutto il costo dell’apparato, dell’infrastruttura, che è un costo di personale e di interventi, che non è quantificabile”. Queste le parole del Ministro Clini.

Prima domanda: se è vero che il costo è a carico dell’impresa, perché lo Stato dovrebbe preoccuparsi delle responsabilità di un privato? Inoltre, se si trattava soltanto un contributo iniziale, quanto dovranno ancora pagare gli italiani in termini economico-finanziari per lo smaltimento della Costa Concordia? Infine, chi pagherà i danni all’isola del Giglio per la perdita d’immagine?

Costa ConcordiaIl contributo elargito fa indispettire ancor di più se si considera la risposta, data dal Capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, al responsabile Codacons che accusava lo Stato di usare i soldi pubblici: “Invito il Presidente del Codacons (ente, quest’ultimo, che aveva già annunciato un esposto alla Corte dei conti per fare chiarezza sulla questione delle risorse statali stanziate in merito) a risparmiarsi denunce poiché non è stato speso un soldo pubblico e, piuttosto, faccia delle proposte che io sto ancora aspettando”. Proprio queste le parole di Franco Gabrielli. La portavoce della Protezione Civile, per contro, faceva sapere che i fondi erogati per i lavori sarebbero stati restituiti dalla Costa Crociere fino all’ultimo centesimo, ad un tasso d’interesse del 9%, e che non erano stati utilizzati più di 1,5 milioni di euro. In realtà di queste somme non è stata data nessuna notizia ufficiale.

Seconda domanda: da quanto in qua una società come la Costa Crociere si avvale della consulenza e dell’assistenza della Protezione Civile per la gestione delle proprie risorse e per comunicare a terzi le proprie intenzioni?

Considerato il suo potenziale, non sembra proprio che la società in oggetto sia poi così piccola e in difficoltà da non potersi permettere consulenti ad hoc.

Un altro aspetto poco chiaro della vicenda è inerente alla scelta del luogo in cui smaltire i resti della nave. Sempre dalle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Clini alla radio privata, si evince l’importanza di “identificare rapidamente il porto più vicino che, in base alle carte nautiche, è Piombino, perché quello che si deve evitare è che una volta finiti i lavori al Giglio non si sappia dove questa nave debba andare”. In realtà bisogna stare attenti. Il porto di Piombino sembrava non essere idoneo ad accogliere una tale “ospitata”, in quanto, a detta di Legambiente, non esisteva un progetto esecutivo delle opere portuali, non un progetto di massima e nemmeno un’idea precisa su dove andare a ricoverare il relitto della Concordia. In pratica, si faceva palese riferimento ad un ulteriore stanziamento di risorse pubbliche per l’esecuzione di una serie di lotti di opere, il cui costo non sarebbe stato inferiore a 100 milioni di euro. Riassumendo, infatti, se dopo il decreto Clini, il ministro Passera non avesse firmato un decreto con dentro almeno 150 milioni, le opere portuali e viarie non sarebbero partite. Oltre a questo, sarebbero servite altre decine di milioni per completare le opere, al fine di esulare Piombino dal rischio di trovarsi un porto formato da scheletri di opere incompiute.

Terza domanda: come fa, a questo punto, un porto come quello di Piombino ad accogliere un relitto se non ne ha le caratteristiche e le capacità per agire in tal senso?

Costta ConcordiaLa stessa domanda è stata posta in vista della possibilità di assegnare lo smantellamento della nave a porti attrezzati come quelli di Genova, Civitavecchia e Palermo. Quest’ultimo, in particolare, non si è tirato indietro dall’esternare, tramite la Fiom Cgil, che l’assegnazione della Costa Concordia a Piombino è un “atto di razzismo industriale”. I motivi sono palesi: la crisi dell’economia ha colpito il porto siciliano mettendo circa 200 lavoratori in cassa integrazione; a ciò si aggiunge che il cantiere di Palermo è in attesa da trent’anni di un finanziamento statale per il completamento di un bacino da 150 mila tonnellate. Nonostante queste “lacune”, e nonostante le proteste, lo stanziamento dei fondi pubblici per Piombino è arrivato comunque. Infatti, vi è stata la promulgazione della L. 71 del 24 giugno 2013 (conversione del D.L. 43 del 26 aprile 2013) avente ad oggetto “disposizioni per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015”. Un totale di 160 milioni di euro per il porto e l’area “398”.

Secondo gli accordi già intercorsi, i finanziamenti per le opere portuali vengono così ripartiti: 50 milioni dalla Regione, 7,6 dal Comune di Piombino, 15 all’Autorità portuale, 10,8 dal ministero dell’Ambiente attraverso fondi già disponibili in Regione più altri 5 aggiuntivi, 4,89 dal ministero delle Infrastrutture, 10 dal ministero dello Sviluppo. Se pensate che i costi da affrontare siano “solo questi”, allora vi sbagliate di grosso. Da ultimo, infatti, è stato stabilito che una società italiana e una americana sono quelle che dopo l’approvazione delle autorità si impegneranno a realizzare un piano estremamente complicato ed esigente, come ci spiega uno degli ingegneri: “controlleremo il funzionamento del sistema il giorno precedente. Con la prima luce partirà l’ultimo controllo e comincerà l’operazione. Ci saranno molte dighe per contenere l’inquinamento dal petrolio e delle reti pronte a raccogliere gli eventuali detriti“.

La gente del posto ha comunque molte riserve. “Speriamo che riescano a sollevare la nave intera. Perché se si rompe, sarà tutto finito. Tutti i tipi di detriti si disperderanno nell’acqua, anche il petrolio (nonostante sia stato per lo più svuotato)“, dice un pescatore della zona. Se tutto “va liscio”, quindi, la Costa Concordia sarà trasferita a Piombino, in provincia di Livorno, dove verrà smantellata per un costo finale che supererà i 400 milioni di euro.

Quarta domanda: come mai tutto questo dispendio di risorse e come mai tutto questo tempo se, come già detto, vi erano porti in grado di ottemperare agli stessi compiti con costi minori?

La risposta è pressoché scontata e traccia il quadro definitivo della situazione: il problema si sarebbe potuto risolvere in maniera diversa e con una spesa sicuramente inferiore a quella preventivata, se solo si fossero utilizzati mezzi e risorse tecnologiche all’avanguardia. Si è deciso, invece, di ricorrere a metodi di risoluzione alquanto sconosciuti e poco chiari. Infine, l’intervento del Governo in questa vicenda (la cui responsabilità è sicuramente da imputare alla società privata oggetto di discussione), altro non è che la solita manovra studiata per strappare risorse dalle casse dello Stato e spostarle in quelle degli “addetti ai lavori”. Il rallentamento delle operazioni, inoltre, è l’attenuante giusta per carpire ulteriori risorse finanziarie.

Insomma, l’ennesima spiacevole vicenda che vede le Istituzioni (Governo e Protezione civile n.d.r.), in commistione con soggetti privati (Costa Concordia n.d.r.), operare ai danni della ormai dilaniata economia italiana. Un percorso che non mette di certo in luce la correttezza e la buona fede della nostra politica nei confronti dei propri cittadini.

Quando finirà quest’incubo?

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