C’era una volta il West: la Val di Susa e gli indios notav

Pubblicato il 3 Mar 2015 - 10:10am di Redazione

Dopo il caso tra i tassisti e Uber pop – ovvero l’App sul telefonino che permette al cittadino comune di svolgere un servizio di trasporto, considerata dai tassisti abusiva – ci mancava un ulteriore episodio connesso ai servizi pubblici.

Nella regione Lombardia tre macchinisti anonimi della tratta Milano-Cremona-Mantova hanno denunciato che “su questa linea, ogni volta che un treno accumula 20 minuti di ritardo ci fa guadagnare 13 euro”.  Infatti in Trenord, a differenza che in Trenitalia, la retribuzione sarebbe proporzionata alle ore di lavoro; addirittura ci sarebbe il “bonus di condotta”: se si fanno più ore, si viene pagati di più. Tali macchinisti sarebbero 25 o 30 su 1200. L’ad di Trenord, Cinzia Farisè, vuole cambiare il contratto di lavoro per risolvere il problema.

Ma questi fatti di cronaca, forse con un tentativo mediatico, cercherebbero di oscurare il vero dramma, reale e attuale, che ha fatto riemergere il caso italiano più eclatante legato ai trasporti: nella scorsa settimana quello che ormai è divenuto il simbolo della nostra nazione, anzi, una vera e propria fiaba, è “ricicciato” fuori grazie alla deposizione della sentenza dello scorso 17 dicembre, quando dei manifestanti notav, a maggio 2014, furono arrestati per atti “terroristici”. Sarebbe meglio iniziare a raccontare la lunga storia, sempre travagliata, della Val di Susa:

C’era una volta una valle alpina situata nella parte occidentale del Piemonte, nel West di Torino.  Si pensa che anticamente vi si fossero stabiliti i Celti, che vi passò Annibale, e pure Giulio Cesare; ma la valle fu soggetta a troppi e tanti uomini potenti: l’assedio di Costantino, le invasioni barbariche, i Goti, Bizantini e Lombardi, Carlo Magno, poi le invasioni ungare e Saracene; entrò addirittura nel Delfinato, in seguito fu in balia degli eserciti di Carlo V e Francesco I di Francia. E che dire della peste! Da qualche parte vi è ancora un gruppo di vecchi che tramanda la legenda della maschera di ferro. Poi vennero le guerre di successione europee, a seguire quella austriaca. Anche Napoleone ci mise del suo, finché la Restaurazione decretò protagonista della Valle Vittorio Emanuele I. Il grande Manzoni ne descrisse il paesaggio attraverso l’Adelchi. E finalmente il 22 maggio 1854 fu inaugurata la ferrovia Torino-Susa, e nel settembre 1871 fu aperto il traforo ferroviario del Fréjus, con il quale si ottenne il collegamento con la Francia. Per fortuna la valle non fu poi tanto coinvolta nelle Grandi guerre, se non attraverso i suoi figli partigiani. Ma l’importanza di tale storia, è che tuttora continua ad essere l’unica fiaba a non finire,  ché nessuno non ha mai cessato di impadronirsene.

Quando negli anni ’70 Berta filava, alcuni uomini del governo italiano pensarono bene di creare un ulteriore rete ferroviaria ad alta velocità, la TAV; in una prospettiva economica diversa da quell’odierna, la tav effettivamente poteva servire per il traffico dei passeggeri ed il turismo, l’integrazione dei managers, dirigenti aziendali tra la Francia e l’Italia. Ma nel vicino luglio del ’91 partì uno studio del Comitato promotore dell’alta-velocità costituito dalla regione Piemonte, proprio per capire se della Tav ce ne era bisogno. Secondo tale studio, tra Torino e Lione viaggiavano un milione e mezzo di persone; negli anni successivi i passeggeri aumentarono di cinque volte; nel 2002 salirono a 7.7 milioni; ma vent’anni dopo si stimò che si fossero dimezzati; il progetto allora rischiò di arenarsi; a quel punto però qualcosa cambiò: il progetto mutò oggetto:  da quel dì la tav non sarà più per il traffico di persone, ma per le merci.

<<C’è stata allora una rincorsa a giustificare questo intervento ormai partito>> interveniva nel 2012 il Presidente della comunità Montana Val di Susa e Val Sangone, Sandro Plano, in un servizio di Report. Mentre per il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Bartolomeo Gioachino, il primo piano sarebbe cambiato in quanto “viene riconvertito perché nel frattempo è cambiata l’economia dell’Europa; con la caduta del muro di Berlino l’economia si globalizza”. Ma l’Ufficio federale dei trasporti svizzero, affermò che il trasporto delle merci era sceso da 8 milioni di tonnellate di merci a 2 milioni e mezzo nel 2009 (e i treni merci che passavano per l’80% erano vuoti). Perché utilizzare una nuova rete ferroviaria se quella già esistente (traforo ferroviario del Frejus) è sottoutilizzata? Secondo sempre Gioachino la nuova Torino-Lione aveva uno scopo di privilegio: investire su quello che ormai è stato avviato, spendere circa 500 milioni di euro per un qualcosa che domani potrebbe servire se tale costruzione “mi consentirebbe di far passare per l’area padana un corridoio che parte da Lisbona e arriva fino a Kiev”. Un nuovo Asse? Come quello Roma-Berlino-Tokyo?

Questi erano gli esiti di tre anni fa. Dunque ancor oggi la Val di Susa si trova a combattere contro  un’enorme problema, che non vuole essere risolto, che miete vittime, passate e future. Ma perché dopo trent’anni la fiaba non termina con un lieto fine?

Secondo Oscar Margaira, consigliere comunale Villa Dora (TO), nell’intervista del programma l’Ultima Parola del 2012, rispondeva: <<Interessa perché c’è più da lavorare, 57 km di galleria; 130 milioni di euro a km a preventivo;  1100 euro a cm, sapendo che queste opere tra preventivo a quando vengono finite hanno un aumento di 3-4 volte. I progetti della tav dicono che la linea è già in deficit di eventi nonostante passino 250 treni al giorno; quindi hanno bisogno di far passare treni lunghi e potentissimi sempre più carichi e tanti, ma non ci sono le merci! Anche le banche ne hanno interessi perché hanno garanzie se i capitali sono enormi, i tempi lunghi e se non c’è nessun rischio perché è garantito – (dallo Stato)>>. All’epoca il ministro delle infrastrutture era Passera, un ex banchiere, e il suo viceministro un altro ex banchiere di Banca Intesa, e suo ex socio. Infine tra le cause elencate dai notav potrebbero rientrarvi anche le organizzazioni criminali che in ingenti lavori, come è emerso da quello dell’Expo, vi speculano sopra.

L’ulteriore problema che spingerebbe i politici a non far cessare i lavori, consisterebbe ora in una scusa che perpetuamente ritorna: la comunità europea fornisce i soldi da investirvi.  Ma la comunità europea inviava quei soldi non per la costruzione o il buco del canale – che ormai si sta effettuando – bensì per scavi che servirebbero per lo studio del territorio, e non per la galleria. La Francia li ha fatti e non ha continuato i lavori. L’Italia invece fa il contrario nonostante ci siano sostanze inquinanti nella montagna per le popolazioni limitrofe, senza contare il CO2 scatenato dai lavori delle ruspe e automezzi.

Finalmente una buona notizia è giunta in settimana: il 23 febbraio 2015 sono state depositate le motivazioni che riguarderebbero la sentenza dello scorso 17 dicembre: sono stati assolti solo quattro notav, che durante una manifestazione del maggio 2013, assalirono a colpi di molotov il cantiere della Torino-Lione, venendo poi accusati di terrorismo. Difatti per i giudici della Corte d’Assise di Torino gli imputati non intendevano “attentare alla vita o all’incolumità delle persone presenti nel cantiere”. Secondo il giudice Pietro Capello non è stata “di dimensioni tali da rientrare nella previsione normativa” per configurare il reato di terrorismo. Così c’è voluto del tempo e spese giudiziarie per capire che quell’atto di sabotaggio non consistesse in un atto di terrorismo, e che le due cose differiscono assai.  Per i giudici infatti  “non si ritiene che la programmazione emersa dal tenore delle telefonate, oggetto di intercettazione”, dal “numero di soggetti concorrenti”, dalle “armi proprie o improprie utilizzate fossero di per sé tali da incidere, anche solo potenzialmente , sulla volontà dello Stato di proseguire i lavori programmati”. Inoltre per i giudici “appare altresì incontrovertibile la mancanza, in capo agli imputati, della volontà di attentare alla vita o all’incolumità delle persone presenti nel cantiere”.

Perché allora bisogna continuare a costruire, quando si può tuttora investire? Perché allora si tace, quando si può intervenire, come stanno facendo molti dei cittadini non piemontesi, tra professori e specialisti che partono per andare a supportare i manifestanti no tav? Perché il mea culpa è sempre difficile da ammettere quando dietro vi si trova uno Stato. D’altronde la Chiesa ha impiegato secoli… basta allora attendere che questa maledetta tav si faccia, poi, sicuramente seguiranno calorose scuse da parte di tutti.

Info sull'Autore

Lascia Una Risposta