Diritti omosessuali: una vergogna italiana

Pubblicato il 10 Lug 2013 - 9:00am di Redazione

Perché in Italia non è ancora stata approvata una legge sui diritti omosessuali?

dirittiIl ministro delle Pari Opportunità ci ha abbandonati, per una palestra abusiva e qualche tassa non pagata. È stato ritenuto giusto non sostituirla, ma distribuire, qua e là, le deleghe: e basti questo per capire la considerazione che in Italia viene riservata a questo ministero.

Ora, non per voler infierire a tutti i costi, ma ciò significa una sola cosa: che, almeno per questa legislatura sulla cui natura e durata non è lecito interrogarsi, il dicastero è inesistente. Beh, almeno ci è stata risparmiata l’illusione che il ministero delle Pari Opportunità potesse avere un qualche valore – ed è un vero peccato, proprio in un momento come quello attuale in cui occorre vigilare sui diritti femminili e, soprattutto, prendere posizioni concrete su quelli omosessuali, la cui inesistenza, che dovrebbe far imbarazzare anche l’animo più omofobo, rappresenta una vergogna per il nostro Paese.

I diritti civili per gli omosessuali – e, se si vuole fare un grande passo di civiltà, il matrimonio – non possono più aspettare, non sono un premio che viene assegnato per le migliori carnevalate del “gay pride”, ma sono un’esigenza fondamentale e necessaria per un Paese che osa definirsi democratico, che nella sua Costituzione afferma che tutti i cittadini sono eguali e godono degli stessi diritti – parola che in questo periodo sembra fare paura – senza distinzione di razza, sesso e religione.

In principio, nel 2001, era l’Olanda, poi il Belgio, la Spagna, la Norvegia, la Svezia, il Portogallo, l’Islanda, la Danimarca, e più recentemente la laica Francia che, nonostante le proteste reazionarie della Chiesa e della destra, è riuscita grazie alla tenacia del presidente Hollande a sanzionare una legge sul matrimonio omosessuale. Poi la Gran Bretagna – e, per di più, un governo conservatore! – che proprio in nome dei valori che sostiene, come famiglia e matrimonio, intende estenderli a tutti, compresi gli omosessuali. E adesso gli Stati Uniti, la cui Corte suprema ha certificato una vittoria storica abolendo il “Defens of Married Act” (DOMA) e smentendo così il dogma, molto in voga qui da noi, che il matrimonio sia solo tra uomo e donna; che il concetto di famiglia – storico e non biologico – possa essere applicato soltanto alle unioni di cittadini eterosessuali. Colpiscono gli Stati Uniti caratterizzati, a differenza della laica Europa che ha vissuto la Rivoluzione francese, da una religiosità molto profonda e molto più radicata della nostra (pensate ai celebri discorsi presidenziali che si aprono e chiudono con una invocazione a Dio), che tuttavia non è stata di ostacolo per dichiarare l’incostituzionalità di una legge federale.

Sarebbe bello se in quella lista ci fosse anche l’Italia – che in fatto di diritti, non solo omosessuali, mostra tutta la sua arretratezza e non può essere presa a modello da nessuno. Nel nostro Paese il dibattito su questi temi è farraginoso, lo si evita volentieri, in nome di problemi più importanti, per rimandare, nascondere le proprie contraddizioni e paure – benché qualche apertura, sui diritti e non sul matrimonio, ora stia venendo anche dalla destra, tradizionalmente molto vicina alle posizioni del Vaticano (ma anche certa sinistra non scherza, se si pensa che per le sue consultazioni Bersani ha convocato pure Bagnasco). Ma perché da noi, salvo il disegno di legge sui DICO (febbraio 2007) rivelatosi imbarazzante e fallimentare, non è stata ancora messa in atto una legislazione sul tema? Innanzitutto perché l’Italia non è ancora in buona parte un Paese capace di accettare le differenze, siano esse religione, etniche o, appunto sessuali, e lo si riscontra nel disagio sociale che molti omosessuali incontrano nel contesto in cui vivono. Non che gli altri Paesi siano più capaci a farlo – vedi le manifestazioni francesi e il suicidio dello storico Dominique Venner a Notre Dame – ma certamente sono riusciti a mettere da parte ogni tipo di implicazione religiosa, che di solito sta alla base della discussione su questi temi.

Un ostacolo è infatti rappresentato dalla Chiesa cattolica (e dai politici di essa succubi) che, attraverso le sue gerarchie, continua a lanciare moniti molto influenti contro le nozze tra omosessuali definite come un “grave vulnus alla famiglia” e che ha contribuito a far sedimentare nella mentalità comune una certa diffidenza, se non vero e proprio pregiudizio, verso l’omosessualità, considerata in quegli ambienti una perversione della natura.

Ora, dà noia ripetere ovvietà, ma uno Stato democratico e pluralista dovrebbe orientare le proprie azioni sulla base del principio di laicità, che la nostra Costituzione esprime chiaramente, e che sancisce tra le altre cose una netta separazione tra il potere politico e quello religioso. Lo Stato dovrebbe agire indipendentemente da qualsiasi credo religioso e limitarsi unicamente a garantire i diritti dei suoi cittadini, credenti e non credenti, eterosessuali e omosessuali, bianchi e neri. La Chiesa ha il diritto di esprimersi come meglio crede, ma non ha alcun diritto di condizionare o boicottare le leggi dello Stato laico. È ovvio, verissimo, ma non è scontato in un Paese che, a differenza della Francia, non ha ancora raggiunto una sua sostanziale indipendenza dalla Chiesa cattolica, che purtroppo ci è a due passi.

L’amore è una cosa semplice, cantava qualcuno. Proprio per niente. Ma perché complicarlo ancora di più?

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