Un ricordo per Costanzo Preve

Pubblicato il 23 Nov 2013 - 6:13pm di Redazione

Costanzo Preve

Questa notte è morto Costanzo Preve, filosofo marxista e saggista italiano. Corretta Informazione lo ricorda con la recensione di Gabriele Repaci al suo nuovo libro che, in qualche modo, è anche il suo testamento spirituale. Che la terra ti sia lieve, Costanzo.

Breve recensione di «Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia» di Costanzo Preve

Costanzo Preve«Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia» di Costanzo Preve si propone come una rilettura dell’intera storia del canone filosofico occidentale sulla base del metodo della deduzione storico-sociale delle categorie e non come l’ennesima noiosa elencazione dossografica di significati che si trovano in qualunque manuale di filosofia contemporaneo. Un libro che costituisce, per ammissione stessa dell’autore, la sintesi migliore del pensiero filosofico previano. Quattro, a mio avviso, sono le parti più importanti del volume e cioè la nascita della filosofia greca, la filosofia classica tedesca, il pensiero di Karl Marx, l’interpretazione del socialismo reale, definito da Preve «comunismo storico novecentesco» (1917 – 1991), e le cause della sua dissoluzione.

Secondo Preve la genesi storica della filosofia greca sorge con la moneta coniata e con la conseguente privatizzazione dei precedenti possedimenti collettivi e comunitari che portò alla generalizzazione della schiavitù per debiti. Il problema fondamentale delle poleis greche nella prima fase della loro esistenza consisteva nel pericolo di dissoluzione delle precedenti comunità a causa della schiavitù debitoria. Dunque i primi filosofi lungi dal manifestare una generica «meraviglia» (thaumazein) verso il cosmo naturale esterno, cercarono invece di affrontare concretamente il problema della dissoluzione individualistica e privatistica della comunità derivante dal possesso privato di enormi quantità di moneta coniata  e la conseguente schiavizzazione per debiti dei propri concittadini. Il detto delfico «conosci te stesso» (gnôthi seautón) non deve essere quindi interpretato tanto come un invito all’introspezione individuale, ma piuttosto come un’esortazione a conoscere se stessi in quanto animali dotati di ragione, linguaggio e soprattutto «misura» (metron) del proprio ambiente di vita collettivo. La filosofia greca nasce quindi come ricerca del rimedio o del freno (katéchon) in grado di impedire la disgregazione della comunità politica.

Hegel nelle sue  Lezioni sulla storia della filosofia (1840) scrisse che i greci «onorarono il Finito». Il filosofo di Stoccarda intuì che onorando il finito, i greci individuarono in esso l’elemento fondamentale per la comprensione filosofica della natura e della politica. L’intero pensiero filosofico greco infatti può essere definito come un elogio della finitudine.  Al contrario il capitalismo moderno «onora» solamente l’infinito in quanto come scrisse Karl Marx  «il movimento del capitale è senza misura»¹. Potremmo quindi dire parafrasando Max Weber che l’etica greca è lo spirito dell’anticapitalismo.

La filosofia classica tedesca viene definita dall’autore come una grande autocritica razionale dell’Illuminismo, che non viene respinto, ma di cui se ne individua l’insufficienza sul terreno della filosofia della storia. Gli idealisti, ed Hegel in particolare, sostengono che gli Illuministi non colgano la veridicità del reale, poiché si limitano a vederne soltanto gli aspetti astratti ed irrelati. Il pensiero idealistico, in cui secondo Preve rientra pienamente anche Karl Marx, critica il concetto di Ragione finita, parziale ed astratta dei philosophes, affermando che essa si estrinseca nella storia. Viene inoltre messo correttamente in evidenza come il rifiuto operato dall’idealismo della distinzione kantiana fra le categorie dell’essere e quelle del pensiero abbia costituito il fondamento attraverso il quale Karl Marx ha potuto operare la sua critica del capitalismo. Neutralizzando la possibilità di comprendere e valutare l’intero il pensiero kantiano infatti rende per sua stessa natura impossibile la conoscenza e la conseguente critica della totalità dei rapporti sociali capitalistici operata dal filosofo di Treviri. Come d’altra parte aveva già chiarito Lukács «la categoria di totalità, il dominio determinante ed onnilaterale dell’intero sulle parti è l’essenza del metodo che Marx ha assunto da Hegel riformulandolo in modo originale e ponendolo alla base di una scienza interamente nuova»².

Marx viene interpretato da Preve come un pensatore «tradizionale» e non moderno. Se infatti, come ha giustamente affermato Martin Heidegger³, il pensiero della modernità nasce con la riduzione, operata da Decartes, del concetto di verità a quello di certezza del soggetto, allora bisogna concludere che il Moro di Treviri non è un pensatore «moderno».  Egli infatti trae da Vico il concetto unitario e trascendentale di storia universale intesa  come «storia ideale eterna», secondo la quale il concetto di verità esiste e non può essere ricondotto a quello di certezza, ma coincide con la ricostruzione sensata dei fatti della storia universale stessa. Infine secondo l’autore il principale errore di prospettiva storica e di giudizio metodologico che si può fare nei riguardi del «comunismo storico novecentesco» consiste nel valutarlo in base all’aderenza alla lettera e allo spirito del suo fondatore.  Sembra del tutto evidente infatti che se confrontassimo l’ideale di società comunista delineato da Marx con quello realmente edificato in Unione Sovietica e nei paesi dell’Europa dell’Est fra il 1917 e il 1991, non potremmo fare a meno di notare le enormi differenze che li separano. Per Preve invece l’interesse di quell’esperienza storica consiste nel fatto che per la prima volta nella storia dell’umanità  le classi dominate hanno sconfitto quelle dominanti mantenendo il potere, sia pure attraverso la mediazione di un potente apparato burocratico, per più di settant’anni. Se ciò è stato possibile una volta può accadere di nuovo e le classi oggi al potere lo sanno perfettamente. D’altra parte dietro l’ossessiva litania secondo la quale «Marx è morto», sembra che più che constatare un decesso si voglia praticare un esorcismo, in quanto  il «morto» in questione è ancora in forze e non cessa di seminare il panico tra i vivi. Su questo Derrida quando parla di «spettri di Marx»⁴ coglie il punto essenziale della questione.

Contrariamente all’opinione di Ernst Bloch che vedeva il fallimento del progetto comunista come il risultato della sua mancata «realizzazione messianica», Preve sostiene che ciò che ha «ucciso» il comunismo novecentesco è stata invece la mancata razionalizzazione della precedente utopia messianica in una forma di vita sociale non alienata. Scrive l’autore a pagina 500 del libro: «l’annuncio messianico caratterizza tutte indistintamente le religioni occidentali (e quindi anche la religione comunista di Marx, nel momento in cui essa “incontra” le speranze sociali di emancipazione di massa), ma nello stesso tempo  esso non può essere che temporaneo, per il semplice fatto che è socialmente ed ontologicamente del tutto impossibile, e deve quindi “razionalizzarsi” in una forma di vita quotidiana e comunitaria consolidata e diffusa». Tale problema a mio avviso fu ben compreso da Lukács che nella sua Ontologia dell’essere sociale esponeva il programma di «democratizzazione della vita quotidiana» quale parola d’ordine del comunismo moderno. Purtroppo come dice spesso Preve «il messaggio è irricevibile se il suo destinatario e irriformabile».

Per concludere è mia opinione ritenere che questo libro sia una vera e propria miniera d’oro per tutti coloro che, sia in ambito accademico che al di fuori di esso, vogliano avvicinarsi allo studio della filosofia in maniera libera da pregiudizi.

Note:

  1. Karl Marx, Il Capitale, Libro I,  Utet, Torino, 2009, 3024 p.
  2. György Lukács, Storia e coscienza di classe, Sugarco Edizioni, Milano, 1991, 425 p.
  3. Martin Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano, 2003, 324 p.
  4. Jacques Derrida, Gli spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto e nuova Internazionale, Raffaello Cortina Editore, Milano,  1994, 246 p.

di Gabriele Repaci

Fonte: Fronte Popolare

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