Anatocismo bancario e capitalizzazione degli interessi

Pubblicato il 5 Gen 2014 - 11:00am di Redazione

Anatocismo bancario in un’economia… capitalista

anatocismo

L’istituto dell’anatocismo bancario è perfettamente coerente con l’attuale sistema economico capitalista, anzi si può dire che ne sia proprio una delle conseguenze più distorte. Si tratta, in particolare, di una figura che vede contrapposti due soggetti, i correntisti e gli istituti di credito, ed altro non è che la capitalizzazione di interessi sul capitale, ossia la produzione di interessi sugli interessi già scaduti.

Sotto l’aspetto giuridico, prospettiva da cui si intende sinteticamente affrontare l’argomento, esso va ricondotto nell’ambito delle obbligazioni pecuniarie, ossia obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro. Ciò posto, il legislatore è intervenuto più volte a disciplinare l’istituto dell’anatocismo bancario. Tuttavia, le norme introdotte sono state ritenute costituzionalmente illegittime, stante la violazione di diversi principi costituzionali. Anzi, utilizzando una locuzione giornalistica, le norme emanate sull’anatocismo bancario sono state spesso definite, in modo tutt’altro che inopportuno, come “norme salva-banche”. Pertanto, l’esame, seppure breve, degli aspetti essenziali della disciplina legislativa sulla capitalizzazione degli interessi, con particolare riguardo alle ragioni  di intervento della Corte Costituzionale, ci aiuta a comprenderne meglio il fenomeno e la sua stretta connessione con l’attuale sistema economico.

Già oltre dieci anni fa, l’art. 25, commi 2 e 3, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, intitolato “Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, aggiungeva all’art. 120 del Testo Unico Bancario due ulteriori commi:

  • il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
  • le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente.

Occorre puntualizzare che il decreto legislativo n. 342 del 1999 costituiva attuazione dell’art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128, che aveva delegato il Governo ad emanare “disposizioni integrative e correttive” del Testo Unico Bancario. La delega era volta al recepimento della direttiva europea del Consiglio 89/646/CEE del 15 dicembre 1989, diretta a eliminare ogni ostacolo alla libera prestazione dei servizi bancari sul territorio dell’Unione Europea e il riconoscimento in ogni stato membro dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia rilasciata agli enti nel paese di origine. Orbene, la modifica introdotta andava ben oltre l’attuazione del principio europeo di mutuo rinascimento, attribuendo all’organismo ministeriale, Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), il potere di stabilire modalità e criteri sulla produzione di interessi sugli interessi, maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria. La norma affidava a una fonte amministrativa (non legislativa e, dunque, non parlamentare) il potere di determinare gli interessi anatocistici da corrispondere agli enti creditizi.

La delibera del CICR veniva emessa il 9 febbraio 2000, entrando in vigore il successivo 22 aprile. La seconda parte della modifica, connessa alla prima, prevedeva una misura di salvezza di tutte le clausole sulla produzione di interessi sugli interessi scaduti, contenuti nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del CICR. Ebbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000, dichiarava l’illegittimità costituzionale delle suddette disposizioni in relazione all’art. 76 della Costituzione, riconoscendo un eccesso di delega rispetto ai principi e ai criteri direttivi conferiti al Governo dal Parlamento.

In seguito, la Corte di Cassazione emanava un’importante pronuncia (Sezioni Unite, 2 dicembre 2010, n. 24418) riconoscendo la nullità delle clausole aventi per oggetto la capitalizzazione degli interessi passivi in un’apertura di credito in conto corrente, in quanto in contrasto con il divieto di anatocismo sancito, infatti, dall’art. 1283 del Codice Civile. Secondo la Cassazione, il correntista, alla cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, poteva (e può) sempre chiedere all’autorità giudiziaria la nullità della clausola avente per oggetto la corresponsione di interessi anatocistici e la ripetizione di quanto indebitamente pagato a tale titolo. Il termine di prescrizione decennale, cui tale azione di ripetizione era (ed è) soggetta, decorreva (e decorre) dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui venivano (e vengono) registrati gli interessi non dovuti.

Orbene, nonostante la pronuncia di illegittimità costituzionale accolta dalla Corte di Cassazione, il legislatore nella legge di conversione del 26 febbraio 2011, n. 10, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”, introduceva il comma 61 nell’art. 2, così stabilendo: “… la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in anatocismoconto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d’importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. In pratica, il legislatore, nella prima parte della norma, surclassava l’interpretazione della Corte di Cassazione, in ordine al momento di decorrenza della prescrizione, facendolo retroagire all’atto dell’annotazione in conto dell’importo corrisposto, momento antecedente a quello della chiusura del conto. Nella seconda parte del comma, invece, la norma stabiliva l’efficacia retroattiva della prima parte, prevedendo la non restituzione degli importi versati alle banche a titolo di interessi capitalizzati.

Non è di difficile visibilità, dunque, il trattamento sfavorevole riservato ai correntisti, ai quali era già stata garantita una restituzione degli importi corrisposti alle banche a titolo di interessi anatocistici. Ciò anche con riguardo al termine di decorrenza della prescrizione che, individuato nel momento anteriore dell’annotazione nel conto, avrebbe comportato, in alcuni casi, l’impossibilità di chiedere la restituzione per avvenuta prescrizione decennale del diritto di credito.

Recentemente, sul punto, è intervenuta nuovamente la Corte Costituzionale (sentenza n. 78 del 5 aprile 2012) che ha affermato come l’efficacia retroattiva della suddetta disposizione ledesse il canone generale della ragionevolezza delle norme di cui all’art. 3 Cost. e come, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, si fosse già formato un orientamento maggioritario della giurisprudenza, che individuava nella chiusura del rapporto contrattuale il decorso del suddetto termine. Anzi, la norma sull’effetto retroattivo violava, secondo la Corte Costituzionale, il parametro costituito dall’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, secondo la Corte di Strasburgo, deve garantire il diritto a un processo equo, tradotto nel divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia. La previsione normativa sulla mancata restituzione delle somme versate a titolo di interessi capitalizzati avrebbe, infatti, bloccato le eventuali azioni giudiziarie intraprese davanti ai competenti tribunali civili da parte dei correntisti.

Pertanto, alla luce di quanto esposto, si possono svolgere alcune riflessioni. In prima battuta, l’anatocismo bancario è uno dei tanti fenomeni in cui la Corte Costituzionale è intervenuta per correggere le norme emanate dal Governo con il suo potere legislativo di cui agli artt. 76 e 77 CostIn secundis, si è trattato di norme che hanno visto i correntisti soccombere alla logica delle banche.

Non sono pochi i clienti degli enti creditizi che hanno corrisposto interessi anatocistici in virtù di un contratto di conto corrente e che, una volta riconosciuta l’illegittimità degli stessi, hanno incardinato azioni giudiziarie per ottenerne la restituzione; restituzione che, come visto, si è tentato di arrestare con il comma 61 dell’art. 2 della legge 26 febbraio 2011, n. 10. Tirare un sospiro di sollievo per l’intervento della Corte Costituzionale non è una garanzia, perché rappresenta un’azione postuma rispetto a quella del potere legislativo.

La legge e gli atti ad essa equiparati, per il tramite delle loro caratteristiche intrinseche di astrattezza, generalità, positività e cogenza, dovrebbero, invece, avere come primo scopo la certezza del diritto e, naturalmente, garantire il rispetto dei canoni costituzionali.

Il Prof. Piero Calamandrei, nel discorso “Chiarezza nella Costituzione”, proclamato all’Assemblea costituente nella seduta del 4 marzo 1947, parlava nobilmente di leggi chiare, stabili e oneste.

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