Israele, un pretesto sfuggito di mano. A chi giova questo caos?

Pubblicato il 7 Lug 2014 - 4:52pm di Irene Masala

Israele potrebbe aver sottovalutato i rischi sociali e politici di questa escalation di violenza a Gaza e in West Bank, in un contesto mediorientale in cambiamento

Israele

Nel momento in cui questo articolo viene scritto, truppe israeliane stanno attaccando i partecipanti al funerale di Mohammed Abu Khudair, il sedicenne palestinese rapito e brutalmente ucciso due giorni fa, il giorno del ritrovamento dei corpi dei tre coloni israeliani rapiti il 12 giugno. Una spirale di violenza che, una volta innescata sarà quasi impossibile fermare.

Il popolo israeliano grida vendetta, quello palestinese giustizia.

Circa 35.000 persone hanno aderito, in un solo giorno, al gruppo facebook “Il popolo di Israele chiede vendetta”, sul quale vengono pubblicate foto di soldati, ragazze sul lungomare, madri con le figlie, mentre stringono tutti lo stesso cartello con cui esigono vendetta.

La violenza ha persino valicato i labili confini mediorientali per arrivare a Roma, dove martedì sera un ragazzo è stato aggredito con calci, pugni e colpi di casco solo perché colpevole di indossare una kefiah. Gli aggressori, un gruppo di filo israeliani romani, si sono subito rifugiati nel quartiere ebraico, tra gli sguardi inermi delle forze dell’ordine. Qualche ora dopo sono stati sparati colpi d’arma da fuoco contro l’ambasciata palestinese in Italia. “Dopo le scritte ingiuriose sui muri esterni dell’Ambasciata palestinese a Roma apparse lunedì, questa notte qualcuno da un’auto non identificata ha esploso dei colpi di arma da fuoco contro la sede diplomatica. Le indagini sono in corso”, si legge nel comunicato.

Nel frattempo Gaza ha lanciato 18 razzi nel sud di Israele, ricevendo in cambio 34 raid aerei, che hanno causato ingenti danni alle infrastrutture civili e numerosi feriti. La Cisgiordania viene saccheggiata, i coloni attaccano le auto e i villaggi palestinesi al grido di “morte agli arabi”. I palestinesi di Gerusalemme scendono in piazza per manifestare contro l’assassinio del sedicenne, il cui movente più accreditato è la vendetta, e vengono bersagliate dai lacrimogeni delle forze dell’ordine.

La Cisgiordania è nel caos, Israele è nel caos. Ora la domanda è: a chi giova questo caos?

Si ipotizza una terza Intifada, ma non c’è la forza né la fantasia per alimentarla. Non ci sono più gli uomini, dato che tutte le persone che potessero avere un qualche legame con la resistenza palestinese sono state arrestate, o gli è stata distrutta la casa. L’unico fatto certo è che il neonato governo di unità nazionale palestinese tra Hamas e Fatah ha visto la sua fine con la morte dei tre coloni israeliani. Hamas è stata additata dal primo istante come responsabile del rapimento ma, ad oggi, le forze israeliane non sono state ancora in grado di fornire alcuna prova di un suo eventuale coinvolgimento. In tutta risposta il numero dei palestinesi uccisi per mano dell’esercito dall’inizio di questa vicenda è salito ad almeno sei, tra cui un bambino. Senza contare il corpo, torturato e carbonizzato, di  Mohammed Abu Khudair. Ma si sa, i morti palestinesi non fanno notizia, altrimenti le pagine dei nostri giornali ne sarebbero piene, quotidianamente, non solo quando viene scomodato dall’occupazione anche qualche israeliano.

Il caos che regna sovrano in queste ultime settimane ha avuto inizio proprio durante i primi istanti del rapimento, per l’esattezza durante la telefonata di emergenza, pubblicata in seguito al ritrovamento dei tre corpi. In 49 secondi Gilad riesce a dire, distintamente, “Mi hanno rapito”, seguito da una voce che con un accento marcatamente arabo urla “Giù le mani, giù la testa”. La telefonata si chiude con un grido e dei colpi di pistola soffocati. Ed è qui che il caos fa capolino, nel momento in cui l’agente di polizia che riceve la telefonata non riesce a pensare ad altro che a uno scherzo di pessimo gusto, privando di importanza l’avvenimento.

La domanda, per chi conosce Israele, non può che sorgere spontanea: come è possibile che funzionari della polizia israeliana, una delle più preparate, smaliziate e addestrate del mondo, sottovaluti una telefonata del genere? Come è possibile che se sbagli una risposta all’aeroporto di Tel Aviv ti ritrovi su un aereo diretto verso casa con un divieto di entrata stampato sul passaporto e invece per un’accusa di rapimento si pensi ad uno scherzo? Niente in Cisgiordania viene considerato uno scherzo, perciò qualcosa non torna nella versione ufficiale di cosa è successo quella notte. Uno scherzo che sa di pretesto, sopratutto perché, se l’allarme fosse scattato subito, i corpi sarebbero stati ritrovati in poche ore, dato che si trovavano a dieci minuti dal luogo del rapimento, risparmiando settimane di arresti, rastrellamenti e raid.

In questo contesto segnato da plurime ambiguità, gli estremisti di entrambi i fronti si stanno unendo, sui social come nelle piazze, catalizzando l’odio latente di una parte verso l’altra. La città vecchia di Gerusalemme e Gerusalemme Est sono completamente militarizzate. Israele ha dato notizia di voler estendere la barriera di sicurezza da Eilat fino alle Alture del Golan e di voler incrementare la costruzione degli insediamenti. Possibile anche un’eventuale rioccupazione di Gaza.

A questo punto ritorna la domanda: a chi giova questo caos?

Info sull'Autore

Laureata in Scienze Politiche e Giornalismo ed Editoria, da anni si occupa di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare interesse per il Medio Oriente e il conflitto arabo-israeliano. Due grandi passioni, scrivere e viaggiare, l'hanno portata a trascorrere gli ultimi sei anni tra Roma, Valencia e Israele/Palestina. Ha inoltre frequentato il Master in Giornalismo Internazionale organizzato dall'IGS (Institute for Global Studies) e dallo Stato Maggiore della Difesa, nell'ambito del quale ha avuto modo di trascorrere due settimane come giornalista embedded nelle basi Unifil in Libano.

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