Il vizio della speranza: recensione del nuovo film di Edoardo De Angelis

Pubblicato il 22 Nov 2018 - 2:13pm di Francesco Salvetti

Arriva nelle sale “Il vizio della speranza” diretto da Edoardo De Angelis e vincitore dell’ultima Festa del cinema di Roma. Vi forniremo trama, recensione e commento.

Vincitore del Tokyo film festival e presentato nella capitale, in concorso,durante l’ultima edizione della Festa del cinema di Roma (che peraltro lo ha visto trionfare con il premio per il pubblico BNL), è stato introdotto da regista e co-sceneggiatore così.

Edoardo De Angelis: “Ho immaginato un inverno dove tutto sembra morto, accendiamo un fuoco e aspettiamo che l’inverno passi.”

Umberto Contarello: “Uno degli obiettivi è di rendere lirico, qualcosa che di lirico non è. Nasce dall’idea di fare un film dal tema spirituale, mistico, religioso e specificatamente cristiano. Mi è sembrato importante come la storia assomigli a una parabola”.

Videorecensione del nostro inviato:

Tornare alla regia dopo il successo riscontrato con “Indivisibili” è come ciò che accade a un allenatore dopo la vittoria di un titolo importante, ti chiedi: “E ora?”. In questo interrogativo che perturba l’animo, Edoardo ha scelto di contattare uno sceneggiatore esperto, come in precedenza è stato Nicola Guaglianone. Il sodalizio con Umberto Contarello è nato in maniera casuale e come tante storie d’amore (artistico) e funziona a meraviglia. Avendo scelto di tornare in sala con una “parabola”, sono riusciti a crearein modo sinuoso una melodia cinematografica che lega sceneggiatura e immagini.

Le immagini, alcune inquadrature, ma soprattutto la scelta di certi nomi(ad esempio la protagonista si chiama Maria), ci riportano alla più nota storia cristiana. La solennità di certe scene, dalla morte del cane al momento finale in cui veniamo trasportati all’interno di un presepe moderno, è resa possibile grazie a un eccellente lavoro di Edoardo alla regia. La scelta di alcune inquadrature, ricorda l’ultima fatica di Garrone, per stile di regia e per la scelta di raccontare la realtà però, a differenza di “Dogman”, in questo film siamo molto più immersi nel mondo di Maria, della protagonista. Lei è sempre in scena (circa al 95%), la vediamo ripresa in tutti i modi e soprattutto ne viviamo assieme il calvario, sino al grande interrogativo finale che è il senso del film: “è madre solo chi lo desidera o chi lo fa?”. L’idea di De Angelis e Contarello arriva dritta allo spettatore senza alcuna imposizione ma come suggerimento, in modo tale da non deludere il pubblico di atei e di credenti, offrendo una riflessione universale.

Pina Turco, oltre a essere sempre inquadrata, ci regala una delle più importanti interpretazioni femminili di quest’ultima stagione cinematografica, permettendole di poter concorrere alla vittoria del David Di Donatello 2019. I suoi silenzi, i suoi piani di ascolto, sono molto più significativi di una battuta scritta bene, ciò fa emergere quanto sia difficile vivere in quelle terre (che sia Castelvolturno, viene detto al termine del film, la storia è circoscritta geograficamente solo per la scelta dialettale perché in realtà potrebbe avvenire i qualsiasi città di provincia). SI sente la differenza ogni volta che cambia compagno in scena, il più toccante è il rapporto con la madre interpretata da Cristiana Donadio. Nota al grande pubblico per il ruolo di Chanel nelle ultime due stagioni di “Gomorra”, si scontra con un personaggio complesso, molto malinconico, triste, decadente, il più “Contarelliano” di tutti, che gli permette di osare in un ruolo lavorando per sottrazioni. Sarà per Cristiana la degna consacrazione che la porterà a vincere un premio? Forse, o per lo meno glielo auguriamo. L’attore più legato a De Angelis è Massimiliano Rossi, il noto “Zecchinetta” della prima stagione di “Gomorra”. In questo film interpreta Carlo Pengueun Caronte buono, che troviamo all’inizio e alla fine del film, non è necessario vederlo in 2 momento principali perché di lui già sappiamo tutta la storia, visto che come tutti i personaggi, anche se non introdotti, portano nel loro volto, nel loro fisico tutto ciò che dobbiamo conoscere che appartiene a un non detto artistico che rende il film iconicamente unico.

Tecnicamente emergono due reparti: musiche e fotografia. Le prime, guidate da Enzo Avitabile, portano al film un nuovo personaggio. Nonostante non ci sia un tema conduttore del film, Enzo lavora con vari strumenti musicali, gioca con voci maschili e controtenori, creando un suono che diventa immagine. La fotografia è fondamentale nella resa biblica di questo film. Alcune luci sono sapientemente inserite per sottolineare ancor di più quanto di lodevole è stato fatto dagli attori.

Il film è un regalo per un pubblico intelligente come quello italiano, è un momento di riflessione garbato ma eticamente importante.

Info sull'Autore

Laureando in Ingegneria Gestionale presso l'università di Tor Vergata, da sempre appassionato di cinema e inviato per eventi cinematografici per Corretta Informazione.

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