Euro, crisi, democrazia: conferenza a Genova

Pubblicato il 8 Apr 2013 - 7:57pm di Piotr Zygulski

Resoconto della conferenza genovese “Euro, crisi, democrazia. Uscire dalla trappola della moneta unica e salvare la democrazia”

euroGrandissimo successo per quello che sui mezzi di comunicazione è stato definito il “raduno degli ultrà anti-euro”, tenutosi a Genova nel pomeriggio di sabato 6 aprile 2013 presso la Biblioteca Berio, tanto che la sala non è riuscita a contenere tutto il pubblico. Per assistere alla conferenza “Euro, crisi, democrazia. Uscire dalla trappola della moneta unica e salvare la democrazia” è accorsa una folla di duecento persone, a fronte di un centinaio di posti a sedere. L’affluenza è stata tale che già mezz’ora prima dell’inizio dell’incontro tutte le sedie erano già state occupate e gli organizzatori, per motivi di sicurezza, hanno dovuto precludere l’accesso a quanti continuavano ad arrivare.

Indubbiamente gli ospiti erano d’eccezione: Alberto Bagnai, Fabrizio Tringali e Marino Badiale. Basta una piccola ricerca su internet per comprendere la portata e il seguito che generano le loro riflessioni, a partire dal blog di Bagnai, capofila delle voci critiche contro la moneta unica. A moderare, il notoriamente non troppo moderato Paolo Becchi, le cui opinioni sono così influenti all’interno del MoVimento 5 Stelle da riscuotere l’attenzione dei media.

Egli ha tratteggiato una situazione spietata, cui deve seguire un’analisi, come quella dei relatori, altrettanto “spietata sull’Euro”. Ha invitato pertanto a smentire la tesi diffusa “da tutti i partiti, da tutti i giornali, dall’informazione totalitaria” che indica la causa della crisi attuale nell’eccesso di spesa e di debito pubblico, nell’“abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. Insomma, l’austerity sarebbe da considerarsi necessaria perché “siamo dei maiali”.

BagnaiL’intervento di Alberto Bagnai ha risposto con disinvoltura di avere una posizione non autorevole, ma autoritaria. Confessando che nel suo libro “Il tramonto dell’euro” vi è solamente una minima parte di personale (lo stile letterario, dovuto a esperienze e letture personali, e l’ipotesi politica di un tradimento da parte della sinistra italiana nei confronti del proprio elettorato naturale), il resto è costituito dalle opinioni di economisti più o meno noti, che vanno ad integrare il volume nelle ben 20 pagine di bibliografia. Oltre ovviamente ai dati statistici, come quelli Eurostat, che indicano che allo scoppiare della crisi la spesa pubblica in Italia (anche quella complessiva, ossia con gli interessi) era minore di quella di tanti paesi considerati “virtuosi, come il Belgio, mentre i paesi cosiddetti PIIGS avevano una spesa ancora inferiore. La crisi tuttavia ha colpito pesantemente questi ultimi, ove si è venuta a creare una situazione di debito pubblico basso e di un afflusso di capitali esteri.

Una crisi simile a quella verificatasi in alcuni paesi sudamericani, basti pensare all’Argentina. Così come in quei paesi c’era la convertibilità forzata con il dollaro, attualmente in Italia abbiamo l’euro, “una moneta che non è nostra, perché se è vero che la stampa un signore italiano, lo fa agli ordini di una signora tedesca”, ha detto Bagnai. Quindi il problema non è tanto quello della spesa pubblica, quanto quello dell’indebitamento privato, come rivelano anche gli autorevoli “giornali dei padroni” Financial Times, Wall Street Journal, The Economist, “più a sinistra del Manifesto”, perché “questi signori a livello alto hanno bisogno di dirsi le cose come stanno”. Certo, a livello altissimo forse si contattano privatamente, tuttavia resta una fascia di informazione in cui è possibile trovare analisi veritiere che non escono sui “giornali dei servi”.

La finanza privata, secondo Bagnai, che negli ultimi trent’anni ha avuto una crescita incontrollata, grazie a misure di deregulation promosse da Reagan – Thatcher, ma anche da governi di opposto colore politico, “sulla base del presupposto che il capitale soffia come lo Spirito, ubi vult, dove vuole, perché il capitale sa”, sta facendo di tutto per dimenticare la lezione di Keynes, che ha provato ad analizzare “cosa può accadere se il capitale è completamente libero”. Bagnai, a tal proposito, suggerisce una (ri)lettura del dodicesimo capitolo della General Theory, “accessibile a qualsiasi alfabetizzato”. Si comprenderà, così, che il capitale “va alla ricerca della remunerazione speculativa”, con conseguenze destabilizzanti. Gli afflussi di capitale hanno, infatti, un duplice risvolto: da un lato permettono ai paesi periferici, indebitandosi, di comprare i prodotti del centro, ma dall’altro hanno un percorso speculativo che li porta a creare bolle (come quella immobiliare, in Spagna). Bagnai ha, infine concluso affermando che “Lo Stato ha abdicato al suo ruolo regolativo” e questo per colpa di una “classe politica corrotta, non perché mangia ostriche e va a mignotte, ma corrotta dai banchieri e dalla finanza mondiale”.

BadialeHa preso la parola Marino Badiale, che ha provato a svelare la falsità della favola che indica nel paese “lupo cattivo” di turno il responsabile della crisi. In riferimento alla delicata situazione di Cipro, questo stato non può essere considerato un lupo, “ma semmai un chihuaua”. Se la casa crolla al primo soffio di vento, forse è perché è stata costruita con la paglia. Badiale, sottolineando di non essere un economista, ma un matematico, tuttavia ha affrontato con Fabrizio Tringali le problematiche della costruzione dell’Euro e “abbiamo scoperto che tutto era già stato scoperto” e le fragilità erano ben note agli economisti, sin dall’inizio.

Fabrizio Tringali allora ha sintetizzato le due principali interpretazioni della crisi: o è colpa del debito pubblico, o è colpa dell’euro. Ricollegandosi al discorso di Bagnai, “i paesi più colpiti dalla crisi, prima che questa scoppiasse, avevano rapporti debitori migliori della Germania”, e ciò confermerebbe la tesi di un euro problematico. Infatti, nella moneta unica europea, si ha una sorta di tasso di cambio nominale fisso, uno a uno, ma non essendo l’inflazione uguale per tutti i paesi, i tassi reali variano. Se in macroeconomia chi ha inflazione maggiore perde competitività, solitamente entrano in gioco meccanismi di svalutazione che, nel medio periodo, tendono a ripristinare l’equilibrio. Ma ciò nell’euro non è possibile, perché la valuta è unica. Questo impedisce un’ipotetica rivalutazione nominale del marco tedesco, operando di fatto una svalutazione reale competitiva da parte della Germania. Pertanto, come affermato candidamente anche dal responsabile Economia e Lavoro del Partito Democratico, non potendo svalutare la moneta, si svaluta il lavoro e i salari. Di qui la cosiddetta “riforma del lavoro” targata Fornero, quindi licenziamenti più facili, meno tutele, precarietà e perdita di forza contrattuale. Queste misure di flessibilità del mercato del lavoro, ha rimarcato Tringali, “non c’entrano con il debito, ma con la competitività”, poiché si insegue un’“inflazione minore comprimendo i salari”. Tutto ciò avvalora la tesi iniziale: la colpa non è del debito pubblico, ma della moneta unica che non permette un riequilibrio della situazione.

Sono seguiti numerosi interventi del pubblico, stimolato assai dalla vivacità del dibattito. Nelle risposte dei relatori, Badiale ha potuto osservare che in Germania le riforme del mercato del lavoro hanno creato “uno spettro di salari molto ampio, creando una fascia di salari bassi” e che quello che importa non è tanto il livello dei prezzi, ma l’aumento, che in Germania è stato assai più contenuto rispetto all’Italia. Matematicamente, “non la funzione, ma la derivata”. Un’altra domanda è suonata retorica: “se tutti inseguissimo il modello tedesco, aumentando produttività e competitività, a chi potremmo vendere?

Alberto Bagnai ha avuto modo di intervenire nuovamente affermando che “se è vero che in alcuni settori industriali tedeschi (l’industria pesa sul PIL per una quota inferiore al 30%, il resto è terziario) esistono stipendi elevati“, spesso “non sono così elevati quanto dovrebbero essere”. Infatti, a fronte di un aumento della produttività del 3%, si è avuto un modesto 1% di crescita dei salari, vale a dire si è verificata una compressione salariale. La Germania, inoltre, ha assunto il ruolo di esportatore netto, l’Italia quello di importatore e “la locomotiva” è rappresentata da “chi importa”, non viceversa e i problemi di debitori incauti, in realtà, possono verificarsi sono se a monte vi è un “creditore incauto”.

TringaliPer tornare al mondo del lavoro, ha voluto far notare Tringali, “la Germania è il paese meno sindacalizzato d’Europa”, con “minijob a poche centinaia di euro al mese” introdotti “dal Bersani tedesco”, Schroeder. Questo è il tradimento da parte dei politici “di sinistra” nei confronti del rispettivo elettorato di riferimento, a cui, “dagli anni ’70 ad oggi, hanno raccontato delle palle”. Anche Bagnai ha usato parole forti, nel dire che “l’ultima volta che un uomo di sinistra ha detto la verità in Italia è stato Napolitano, ma nel dicembre 1978”, parlando contro lo SME, che costituiva l’antesignano dell’euro. Sulle motivazioni di un tradimento di tale portata “ci daranno risposte gli storici”, ma non si pensi solo alla malafede, che pure è presente, ma “anche alla colossale ignoranza delle èlites” che ultimamente Bagnai ha potuto conoscere più da vicino nei talk show televisivi. Fatto sta che sono riuscite a far passare misure certamente dannose per il proprio elettorato con “lo spauracchio del ce lo chiede l’Europa” e con il “mito della Germania razionale, incarnazione dell’allegoria della Prudenza”. Ora non vi può essere la scusa dell’ignoranza perché l’analisi e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e “se la sinistra ha deciso di andarsi a spiaggiare come i capodogli, cazzi suoi”.

Il pomeriggio è trascorso in fretta. Per rispondere all’ultima raffica di domande, c’è stato l’intervento finale di Bagnai. “La fine della sovranità monetaria italiana si è consumata nel 1981 con il divorzio tra Banca d’Italia e il Tesoro”, adottando un “principio di indipendenza”, inserito poi nel Trattato di Maastricht. Si è venuto a creare così un vero e proprio “Quarto Potere”, quello “monetario”, sovrano sugli altri tre. Si “costringe lo Stato a rivolgersi ai mercati” per indebitarsi e poi si “toglie allo Stato la possibilità di controllo” e il risultato è “sempre meno spesa sociale, sempre più interessi”. Insomma, “dal salario alla rendita”.

conferenza-euro-GenovaBagnai ha citato le ultime dichiarazioni di alcuni economisti come quella di Olivier Blanchard, per il quale “l’indipendenza della Banca Centrale è incompatibile con la democrazia”. Questo, però, si può dire ovunque, tranne che “in quell’ultima roccaforte di regime fascista che è l’eurozona”. Per quanto riguarda, infine, le modalità dell’uscita dalla moneta unica, egli ha definito “inopportuno” un referendum popolare, così come proposto dal MoVimento 5 Stelle, perché, anche se non esistono precedenti storici da riportare per analogia, è presumibile una “fuga di capitali” di grande portata. La decisione dovrebbe essere rapida per scongiurare tutto ciò e, se non avverrà unilateralmente da parte italiana, non è escluso che la parola fine la possano mettere proprio loro, “i paesi del nord che più passa il tempo, meno hanno convenienza a restare in questa unione dalla quale finora hanno tratto benefici”, ha concluso Bagnai.


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Info sull'Autore

Piotr Zygulski nasce a Genova da padre polacco e madre italiana, vive da sempre a Cogoleto (GE) dove è impegnato in numerose attività sociali e culturali, tra cui quella di segretario della Consulta Giovanile comunale. Si è diplomato a pieni voti con la tesina "Costanzo Preve: la passione durevole della filosofia" pubblicata nel 2012 dalla casa editrice Petite Plaisance di Pistoia. Attualmente frequenta il corso di laurea in Economia e Commercio all'Università di Genova. Collabora inoltre saltuariamente con le riviste online Comunismo e Comunità, Megachip e Arianna Editrice.

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