Pietro Orlandi: la mia battaglia per la verità

Pubblicato il 19 Feb 2013 - 12:47am di Redazione

Pietro Orlandi

Vaticano, poteri forti e misteri italiani nella storia di Pietro Orlandi

Parlare con Pietro Orlandi è sempre un’emozione. Un’emozione per la sua storia, una di quelle storie oscure e mai chiarite che rappresentano una delle pagine nere italiane. Ma parlarci è un’emozione anche per la sua vicenda familiare, per le emozioni che traspaiono dalle sue parole. Un’emozione per l’elemento altamente simbolico che la vicenda della famiglia Orlandi rappresenta per l’Italia.

Per quei pochi che ancora non la conoscessero, ci vuole raccontare brevemente la storia di Emanuela Orlandi?

La storia di Emanuela Orlandi è una storia che dura da 30 anni: è iniziata il 22 giugno 1983 quando Emanuela, andando a scuola di musica, suonava il pianoforte e il flauto, a circa 50 metri dalla scuola incontra una persona che le offre di distribuire volantini durante una sfilata di moda per un compenso abbastanza elevato, 375 mila lire. Dopo la scuola, alle 7, Emanuela chiama a casa per parlare con i nostri genitori, ma trova soltanto la sorella e le racconta dell’offerta che ha ricevuto. Nostra sorella è un po’ dubbiosa, per la cifra troppo elevata per quel tipo di lavoro, dicendole comunque di parlarne dopo a casa. Emanuela la tranquillizza, dicendole che la persona che le aveva offerto il lavoro l’avrebbe aspettata all’uscita di scuola per consegnarle i volantini e il materiale da portare a casa. Intorno alle 7 e un quarto nostra sorella, insieme ad alcuni amici, si reca alla scuola per andarla a prendere, ma Emanuela già non c’era più. Era sparita nel giro di un quarto d’ora, venti minuti. Da quel momento è iniziato il nostro incubo: abbiamo iniziato a girare per tutta Roma, giorno e notte, fino all’appello del Papa il 3 luglio. Dal 5 luglio è iniziato un po’ tutto: c’è stata, infatti, la richiesta dei presunti rapitori che chiedevano lo scambio di Emanuela con Alì Agca, ottenendo addirittura una linea diretta con la Segreteria di Stato vaticana. Il contenuto di quei colloqui, però, tra i presunti rapitori e il Cardinal Casaroli non li conosciamo, non essendo stati mai consegnati alla magistratura italiana. Questo è stato solo l’inizio, perché poi le ipotesi si sono accavallate l’una all’altra, fino al Natale di quell’anno quando Giovanni Paolo II venne direttamente a casa nostra, dicendoci che il caso di Emanuela era un caso di terrorismo internazionale, permettendo, però, al silenzio e all’omertà di calare su questa vicenda. Hanno fatto di tutto per far dimenticare questa storia: non collaborando mai con la magistratura, cosa che succede ancora oggi, nonostante siano passati 30 anni.

Molti di noi conoscono il personaggio Emanuela Orlandi. Ma chi è stata e chi è ancora Emanuela per la vostra famiglia?

Per me Emanuela è ancora mia sorella, è la stessa Emanuela che ho visto l’ultimo giorno uscendo di casa. L’ultima volta che ho visto Emanuela c’è stata quasi una discussione, perché quel giorno avevo un appuntamento e non potevo accompagnarla a scuola. Lei si è girata, ha sbattuto la porta e se n’è andata. Quell’immagine mi è rimasta impressa nella mente e tante volte mi sono detto: “Ma se l’avessi accompagnata…” quel giorno forse non sarebbe successo nulla, ma, purtroppo, è andata così. Sono passati 30 anni ma, a volte mi impressiona questa cosa, io ho ancora in mente quei primi giorni, quei momenti… Noi abbiamo sempre pensato al domani, domani succederà qualcosa… ci sarà qualche novità, ma, pensando al domani, sono veramente passati 30 anni, ma il mio tempo è rimasto a quei giorni e non ci fermeremo mai finché non arriveremo alla verità, perché l’ingiustizia non cambia di valore se è passato un giorno, 10 anni o 30 anni. E questo lo devono ben capire chi ha avuto responsabilità, dirette o indirette, questa vicenda rimarrà sulle loro teste come una spada di Damocle fino a che non si arriverà alla verità.

Come ritiene che l’informazione abbia trattato il ‘caso’ di Emanuela Orlandi?

Come sempre accade, direi a sprazzi. Durante il primo periodo, quello dell’appello del Papa e del collegamento con Alì Agca, forse non c’era giornale sulla terra dove non se ne parlava. Mi ricordo ancora che arrivò a casa una lettera di solidarietà addirittura da Singapore. C’era stata in quel periodo una grande attenzione da parte dei media anche se, più il tempo è passato, più si sono avvicinati solo quando c’erano delle novità che, devo dire, nonostante siano passati tanti anni, ci sono sempre state, non tutte uscite sui mezzi d’informazione. C’è sempre stato qualche cosa, qualche movimento, qualche speranza di poter arrivare alla verità, anche se poi seguita dalla disillusione. Un momento importante è stato nel quando, a seguito di una legge votata dal Parlamento, non si sarebbe potuto proseguire quest’indagine. Io e mio padre, scomparso nel 2004, però, abbiamo presentato un’istanza per riaprire il ‘caso’ di Emanuela Orlandi, riaperto effettivamente nel 2005. Nel 2008, inoltre, ci sono state le dichiarazioni dell’amante di Enrico De Pedis attribuendo tutte le responsabilità della scomparsa di mia sorella a Marcinkus, Presidente dello IOR, e allo stesso De Pedis. La strada, insomma, era Vaticanostata prefissata: due responsabili morti, Emanuela morta e avrebbero volentieri chiuso il ‘caso’ Emanuela Orlandi. Ma questo, sinceramente, non mi andava giù anche vedendo che le tantissime persone che mi contattavano attraverso Facebook, persone giovani che non erano neanche nate all’epoca dei fatti ma che conoscevano la storia di Emanuela soltanto per la questione della Banda della Magliana, non sapendo che c’erano stati 17-18 anni di indagini fermate a metà e mai approfondite. Nel 2010, allora, sono andato a parlare con Alì Agca, appena uscito dal carcere, per guardarlo negli occhi mentre diceva quello che nel 1997 aveva scritto in una lettera inviata a mio padre: che Emanuela era viva e che non aveva subito alcun maltrattamento. Poi decisi, insieme a un giornalista del Corriere della Sera, di scrivere un libro, raccontando i fatti che c’erano stati e che la gente non conosceva. Proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica perché, fino a quel momento, mi sentivo abbastanza solo, e se sei solo puoi alzare la voce quanto vuoi, ma difficilmente arriva alle orecchie di chi sta in alto e di chi non vuole ascoltare. Così, proprio grazie a questo libro, ho cominciato a girare l’Italia sensibilizzando nuovamente l’opinione pubblica su questa storia e sui fatti che c’erano e che la gente non conosceva e anche la stampa, piano piano, si è riavvicinata. Proprio da queste presentazioni è nata, l’anno scorso, la prima petizione a Benedetto XVI che ci ha portato a fare cose impensabili fino a qualche anno fa. Quella petizione, a cui hanno aderito più di 80.000 persone, ci ha permesso di fare degli enormi passi avanti. Innanzitutto, la manifestazione davanti alla Basilica di Sant’Apollinaire, dove era sepolto De Pedis con il consenso e l’autorità del Vaticano, permettendo non solo di togliere quella persona dalla basilica, ma anche di analizzare tutte le ossa presenti all’interno dell’ossario. Nel 2005, infatti, c’era stata una telefonata che collegava quella sepoltura alla scomparsa di Emanuela e c’era stato sempre un tira e molla tra la Magistratura e il Vaticano per aprire quella tomba e, alla fine, è grazie alla spinta dell’opinione pubblica che quella tomba è stata aperta e che le ossa sono tuttora analizzate. Abbiamo, poi, organizzato altre due manifestazioni davanti San Pietro, sperando che il Papa, così come aveva fatto il suo predecessore, ricordasse in qualche modo Emanuela e chiedesse che si potesse arrivare alla verità su questa storia. Non ha parlato, purtroppo, probabilmente non tanto per la sua volontà ma perché è stato sconsigliato dalla Segreteria di Stato, come ha rivelato il libro di Gianluigi Nuzzi, per evitare di dare validità alle mie parole sull’omertà del Vaticano. Da qualche mese ho, inoltre, lanciato una nuova petizione, questa volta al Segretario di Stato, il Cardinal Bertone, chiedendo che venga aperta un’inchiesta interna allo Stato Vaticano sul rapimento di una cittadina vaticana. Credo sia un loro dovere, ma non abbiamo ricevuto ancora nessuna risposta nonostante a quest’appello, ad oggi, abbiano aderito circa 122.000 persone. Noi andremo avanti e non ci fermeremo mai. Io mi auguro che in questi ultimi giorni del Pontificato di Benedetto XVI, domenica è l’ultimo Angelus, liberato da qualche vincolo, possa liberamente auspicare da quella finestra che si faccia chiarezza su questa vicenda. Credo che sia una cosa necessaria, anche perché questo comportamento del Vaticano, evitare da 30 anni di parlarne, di collaborare, è un danno per la Chiesa stessa. L’ultimo episodio è accaduto qualche mese fa a mia moglie che lavora in Vaticano, a cui è stato imposto di togliere la foto di Emanuela dalla scrivania, perché “è un simbolo e può dare fastidio a qualcuno“. Come può una bambina di 15 anni, che ha l’unica colpa di essere stata rapita, essere diventata per il Vaticano un simbolo negativo? Questa scomparsa ha un peso così grande sulla Santa Sede che loro preferiscono subire le critiche dell’opinione pubblica piuttosto di far sì che la verità emerga. Perché se loro, come dicono, non sono in nessun modo responsabili, perché non hanno aiutato la famiglia nella ricerca della verità? La realtà è che il Vaticano ha avuto delle responsabilità in questo rapimento.

A seguito della riesumazione della salma di Enrico De Pedis, Lei ha dichiarato di non credere che Emanuela Orlandi si potesse trovare nella basilica. Come mai è giunto a questa convinzione?

Non ho mai pensato che Emanuela potesse trovarsi là dentro perché ci sono state tantissime ipotesi, ma una delle ipotesi che io scarto è quella del rapimento esclusivamente a scopo sessuale. Ed è l’ipotesi che ha portato molti a pensare che Emanuela possa essere attratta da quella basilica dove c’era il rettore Don Vergari, amico di De Pedis, che tra l’altro è indagato per concorso in sequestro di persona, e che Emanuela sia morta all’interno di essa. Non credo che sia andata così perché ci sono tantissimi elementi che portano a pensare che il sequestro fosse stato organizzato già da tempo e che Emanuela sia stata rapita, non perché era Emanuela, ma perché era una cittadina vaticana. Non ci scordiamo che qualche tempo prima del rapimento, un anno e mezzo circa, arrivò in Vaticano un’informativa dei Servizi francesi sul rischio di rapimento a danno di cittadini vaticani. Altre due ragazze, del resto, furono seguite in quel periodo, i cui genitori erano molto vicini al Papa. Era, dunque, una cosa organizzata da tempo, e poi tutto quello che è seguito dopo, le telefonate, la maggior parte delle quali autentiche. Molto probabilmente i rapitori non volevano lo scambio con Alì Agca come chiedevano, perché, a un certo punto, ci dissero che loro seguivano due linee: una pubblica e una non pubblica. Quella pubblica era la richiesta di scambio con Alì Agca e questo serviva ad alzare l’attenzione verso questa storia e mettere pressione al Vaticano. L’altra, quella non pubblica, avendo una linea diretta con la Segreteria di Stato del Vaticano, è stata sicuramente un ricatto, c’è stato qualcosa che ha portato il Vaticano al silenzio. Loro hanno sempre negato, ad esempio, di aver svolto delle indagini interne, che ci fosse un fascicolo all’interno della Segreteria di Stato. Tutto questo, però, è stato smentito nel 1993 quando un funzionario della gendarmeria vaticana fu chiamato dai magistrati per essere interrogato e, avendo i telefoni sotto controllo, fu intecettata il giorno prima una sua telefonata con un suo superiore che gli imponeva di non dire nulla su Emanuela Orlandi “e non dire soprattutto che abbiamo indagato all’interno e che la cosa è andata alla Segreteria di Stato“. E la cosa che mi ha colpito è che quest’intercettazione era importante, ma non c’è stato nessun tentativo di chiarire, né da parte dello Stato italiano né da quello vaticano, tanto è vero che a questa persona, poco dopo, è stata conferita la cittadinanza vaticana. Tuttora è cittadino vaticano e vicecomandante della gendarmeria. Quest’episodio mi ha fatto comprendere molte cose: il Vaticano, non so se ha avuto una responsabilità diretta o indiretta, ma certamente è a conoscenza di ciò che è successo e ha occultato qualche cosa. Ma questa omertà è stata anche sostenuta dallo stato italiano, le cui istituzioni sono da sempre succubi del potere vaticano. Non ci sarà mai nessuno in Italia, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che possano dire o fare qualche cosa che compromettano i propri rapporti con il Vaticano, perché il Vaticano fa comodo a tutti e tutti fanno comodo al Vaticano e così è sempre stato.

orlandiCome mai, secondo lei, esiste ancora questo interesse da parte della gente per il ‘caso’ Emanuela Orlandi?

Forse perché sono passati tanti anni e, da parte nostra, non c’è mai stata la rinuncia, non abbiamo mai accettato questa ingiustizia e certamente è stato anche importante il manifesto su Emanuela che è rimasto nella storia e nella memoria collettiva del nostro Paese. Inoltre Emanuela rappresenta il simbolo della giustizia negata per molti stanchi di vivere in un mondo dove la giustizia è ancora un’utopia, dove le persone normali sono schiacciate sempre dall’arroganza del potere e da questa oscura “Ragion di Stato” che copre qualunque cosa. Per questo forse è arrivato il momento di un cambiamento reale: la volontà delle persone di non accettare più passivamente le ingiustizie, nei confronti di Emanuela, ma anche di tantissime altre persone che sono state private della scelta di poter vivere la propria vita come volevano. Soprattutto se esercitato da un ambiente come quello del Vaticano, che dovrebbe rappresentare il centro della cristianità. Emanuela, ricordiamolo, è stata l’unica cittadina vaticana rapita e questo crea problemi al Vaticano che vorrebbe far dimenticare questa storia. Io, infatti, parlo sempre del rapimento collegato alla cittadinanza, mentre il Vaticano parla sempre di “ragazza scomparsa“, perché questo fatto dovrebbe presupporre un loro maggior interesse che, invece, non c’è. L’ultima cosa che mi sono sentito dire è stata “eh…ma sai… ne scompaiono tante di ragazze di cui non se ne sa più niente“, come se fosse una giustificazione. Scompaiono, non se ne sa niente e finisce lì… Ma non è così. Per loro, per i responsabili, è qualcosa di più della scomparsa di una ragazza e, per questo, arrivare finalmente alla verità potrebbe, forse, essere importante per tantissime altre cose. Arrivare alla verità vorrebbe dire che, per una volta, i poteri forti possono essere sconfitti da quelli deboli e che non bisogna sempre rassegnarsi.

Cosa pensa delle dimissioni di Benedetto XVI? E pensa che il ‘caso’ di Emanuela Orlandi c’entri in qualche modo?

Non ho la presunzione di giudicare le dimissioni del Papa: è stata una sua scelta, non facile, come ha dichiarato lui stesso il giorno dopo. Non credo, però, che si tratti di una fuga dalle sue responsabilità ma, piuttosto, di marcare alcune responsabilità da parte della Chiesa. Penso che la vicenda di Emanuela sia una delle tante legate a quel sistema Chiesa-Vaticano che funziona sempre meno. Io credo che, da parte sua, sia stata una denuncia. Io penso che, in molti casi, abbia accettato determinate situazioni e queste dimissioni, dunque, sono state forse un atto di coraggio. Era forse l’unico modo per mettere in evidenza alcuni problemi strutturali della Chiesa, che non era più in grado di sostenere e di sistemare. Forse Paolo Gabriele, trafugando le carte, in un modo sbagliato, aveva cercato di far notare le stesse cose che, con le sue dimissioni,  sta facendo ora notare Benedetto XVI che, in questo momento, sta dicendo cose che non aveva mai detto durante gli anni del suo Pontificato, denunciando le divisioni, gli egoismi e la voglia di potere all’interno della Chiesa.

Siamo arrivati all’ultima domanda. Alcuni organi d’informazione hanno sostenuto un suo futuro impegno politico. Lei lo conferma o lo smentisce?

Lo smentisco nel modo più assoluto. Il mio unico impegno è quello di trovare la verità su Emanuela. Certo, Walter Veltroni è stato molto vicino alla nostra famiglia, presentando anche un’inchiesta parlamentare, ma, al di là di questo, non ho nessuna intenzione di fare politica. Non ne sarei neanche in grado.

Ringraziamo Pietro Orlandi per l’intervista e auguriamo a tutti buona lettura.

 

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