La filosofia di Karl Löwith

Pubblicato il 11 Ott 2013 - 4:32pm di Redazione

Recensione del libro di Marco Bruni “La natura oltre la Storia. La filosofia di Karl Lowith

Lowith

Il lavoro di Marco Bruni “La natura oltre la Storia. La filosofia di Karl Lowith” (Il Prato, Padova, 2012), pubblicato per la dinamica collana I Cento Talleri, offre in maniera ampia e approfondita l’intero quadro dell’opera del filosofo tedesco, spesso – a torto – trascurato per via della ben più popolare (e per certi aspetti ingombrante) figura di Heidegger, di cui Lowith fu uno dei più brillianti allievi.

Lowith è stato senza dubbio uno dei maggiori pensatori tedeschi del Novecento, che ha saputo fornire, nella sua vasta vicenda intellettuale, contributi di storiografia critica (in particolar modo con il monumentale studio Da Hegel a Nietzsche) accompagnati da una elaborazione teoretica di enorme spessore. Al centro del pensiero di Lowith, come esposto limpidamente nel saggio di Bruni, si pone una vera e propria ontologia della natura, che resta uguale a se stessa nonostante il variare delle epoche storiche e delle faccende umane. L’astratto Essere (Sein) heideggeriano si incarna nella più originaria e concreta delle realtà: la Natura di tutte le cose (physis), in ripresa della “filosofia nata grande” dei presocratici e del naturalismo spinoziano. La modernità, e in generale la tradizione filosofica occidentale – secondo il giudizio di Lowith – è stata colpevole di aver trascurato il problema naturale, in favore di una filosofia della storia nata in seno all’escatologia giudaico-cristiana (Agostino) che guardava alla storia – anche nelle sue successive secolarizzazioni (Hegel e Marx) – come necessario “luogo del progresso” indirizzato verso un paradiso terrestre, allo scopo di sottomettere la riproduzione naturale in funzione di bisogni umani; tale oblio della natura avrebbe poi aperto le porte al nichilismo contemporaneo e all’attuale dominio incontrastato della tecnica: ciò che il pensatore tedesco chiama “fatalità del progresso”.

Come messo bene a fuoco nel saggio, nella speculazione di Lowith è tuttavia fondamentale la compresenza di ontologia naturale e di una natura umana, che descrive l’uomo nella sua genericità come un “essere dotato di ragione e Lowithsocialità” e, in aggiunta, di una marcata tendenza verso l’humanitas classica che lo configura come diverso rispetto gli altri enti naturali, anche se ciò non vuol dire il migliore degli enti. Alla luce di questa alterità dell’uomo è la filosofia a dover dispiegare la dimensione razionale umana in una “chiara contemplazione (theorein) della verità dell’esistente”, nel tentativo di un “vivere secondo natura”, come netta opposizione all’approdo nichilistico della tarda modernità.

Tale “vivere secondo natura”, ben lungi dall’essere un esito disincantato in risposta alla crisi del nostri tempi, è in verità stabilito sulla base di una solida (e non relativistica) fondazione ontologica, propria della natura e dell’uomo, che tanto è urgente e necessaria per una critica alla tecnica e al capitalismo odierno nella sua fase di massima alienazione. In questo senso Lowith può essere inserito come un autore-chiave per un riscontro filosofico al dominio distruttivo della natura , o quantomeno per ridisegnare una filosofia critica che sappia offrire una pavimentazione ontologica ai temi dell’ambientalismo radicale, della difesa del paesaggio (naturale e culturale) e delle tragiche implicazioni antropologiche di un produttivismo incontrollato. Spunti sui quali il bel saggio di Bruni può essere senz’altro un punto di avvio essenziale.

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