Moschea a Milano?

Pubblicato il 6 Feb 2014 - 6:00pm di Redazione

Presentato un progetto per la moschea da parte dei gruppi islamici più radicali. Il Comune di Milano intavola trattative segrete

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Da tempo si discute sull’opportunità di costruire una grande moschea a Milano e dare finalmente un luogo di preghiera adeguato alle esigenze delle comunità islamiche locali, da anni costrette a riunirsi in ambienti inadatti e più di recente sotto un tendone presso l’ex Palasharp. Con l’approssimarsi dell’Expo 2015 sembra che Palazzo Marino si sia deciso a finalizzare il progetto, ma sulle trattative in corso si sta facendo un gran silenzio.

A presentare il progetto sono i rappresentanti del Centro Culturale Islamico di Viale Jenner e del Caim (Coordinamento Associazioni Islamiche Milanesi), di cui fanno parte una ventina di centri islamici.

Il Centro Culturale Islamico è stato negli anni passati il punto di riferimento principale in Italia di correnti dell’estremismo islamico egiziano e sottoposto a svariate indagini dalle forze di polizia e servizi segreti di mezzo mondo. Nella primavera del 2013, l’Imam di Viale Jenner, Abu Imad, per quindici anni a capo della comunità, è stato espulso dall’Italia dopo aver scontato in carcere una condanna definitiva a tre anni e otto mesi per associazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo, perché ritenuto promotore e leader di una cellula salafita che progettava attentati in Italia e all’Estero. Secondo la stampa italiana ed internazionale il Centro Culturale Islamico milanese era diventato il punto di riferimento della Jama’a al-Islamiyya, l’organizzazione terrorista che nel 1981 rivendicò l’assassinio dell’ex-presidente egiziano Anwar Sadat. Una parte di questa organizzazione confluì in seguito in Al-Qaeda.

Prima di Abu Imad altro elemento di spicco di Viale Jenner fu Anwar Shabaan, presunto membro della Jama’a al-Islamiyya  egiziana e rifugiato politico in Italia dal 1991. Nell’estate del 1995 la polizia italiana diede il via all’”Operazione Sfinge” e fece irruzione nel centro milanese arrestando 11 sospetti membri dell’organizzazione e trovando rapporti e video dei combattimenti realizzati dalle unità di Mujahiddin in Bosnia. Shabaan aveva però già fatto perdere le proprie tracce, fuggendo in Bosnia e diventando un alto comandante dei mujahideen nella zona di Zenica. Shabaan fu ucciso in Bosnia in un agguato assieme ad altri tre jihadisti durante un controllo a un posto di blocco per mano di militari croati.

Se è vero che negli ultimi tempi il centro di Viale Jenner ha cercato di prendere le distanze dagli elementi più sovversivi, sembra essere comunque rimasto il punto di riferimento dei movimenti più radicali, legati in particolare all’influenza salafita.

moscheaPer quanto riguarda il Caim, il suo coordinatore, Davide Piccardo, organizza settimanalmente incontri e manifestazioni in difesa dell’ex Presidente egiziano Mohamed Mursi e dei Fratelli Musulmani. Organizzazione che in Russia, su ordine della Corte Suprema, è stata inclusa nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali a causa di legami con la guerriglia jihadista cecena. In Egitto i Fratelli Musulmani hanno subito la medesima sorte in seguito ai numerosi attentati che hanno bersagliato esercito e polizia dopo la caduta del governo dei Fratelli. Ben noto è il filmato di un esponente di punta della Fratellanza egiziana, El Beltagui, mentre annuncia, poco prima del suo arresto, che gli attacchi dei jihadisti nel Sinai cesseranno soltanto “nell’istante in cui Mursi tornerà sulla poltrona“.

I finanziamenti per il progetto della moschea di Milano, secondo quanto riferito da Piccardo a Repubblica, arriverebbero anche dai Paesi del Golfo, verosimilmente dall’Arabia Saudita e dal Qatar, paese che è tra i principali finanziatori dei Fratelli Musulmani e che ha già acquistato il 40% di Porta Nuova a Milano tramite la Qatar Holding, già nota per avere partecipazioni che spaziano dalla Porsche ai magazzini Harrods, dal Credit Suisse al Paris Saint Germain e ha recentemente rilevato alcuni dei più noti hotel della Costa Smeralda.

Viene dunque da chiedersi se, come spesso accade, di fronte alla prospettiva di una generosa quantità di petrodollari, si stia chiudendo un occhio sulle questioni ideologiche, affidando la gestione di un istituto importante come la prima vera e propria moschea di Milano a gruppi altamente politicizzati, lasciando fuori dai giochi realtà più moderate e che per anni si sono sforzate di favorire il dialogo e l’integrazione delle comunità islamiche, come è il caso ad esempio di Via Padova, via Meda e di altri gruppi del milanese. È più che lecito domandarsi se Centro Culturale Islamico e Caim siano davvero meritevoli di assumersi un ruolo importante come la costruzione e la gestione della prima Grande Moschea di Milano.

Inoltre, perché sembra che si voglia a tutti i costi evitare il discorso e far passare le trattative sotto silenzio? Forse perché si è consapevoli delle possibili conseguenze politiche di un’azione così avventata?

Ma, soprattutto, siamo sicuri che sia un bene per le comunità islamiche in Italia trovarsi sotto un’influenza così forte da parte di partiti e gruppi radicali esterni al nostro contesto e che non hanno certo come priorità le esigenze basilari dei musulmani immigrati in Italia come ad esempio l’integrazione nel tessuto socio-culturale italiano?

Può una giunta che si considera di sinistra e laica accettare che la più grande moschea di Milano possa essere costruita e gestita da esponenti ideologicamente vicini a gruppi islamisti che promuovono ancora oggi  ideali che contrastano con i diritti fondamentali dell’uomo? Basti pensare al rigetto da parte dei Fratelli Musulmani egiziani  della la Dichiarazione per i diritti delle donne,  presentata nel marzo 2013 alla 57° sezione della Commissione sulla condizione femminile, funzionale al Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC) delle Nazioni Unite e in particolare la critica agli articoli che danno a una ragazza la libertà sessuale, la libertà di scegliere il sesso del proprio partner, danno i diritti ai gay, li proteggono e li rispettano così come proteggono le prostitute, cosa che andrebbe contro i principi dell’Islam.

Forse le trattative vengono mantenute riservate proprio perché la Giunta milanese è ben consapevole del grosso imbarazzo che ne potrebbe nascere? Consegnare le chiavi della Grande Moschea ad associazioni che non si sono certo distinte nel tempo per grandi meriti, rischiando tra l’altro di far diventare Milano una roccaforte dell’islamismo radicale proveniente dai paesi del Golfo: cosa che non sarebbe certo una mossa politicamente salutare per Pisapia.

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