Obama-Rohani: nuova alleanza?

Pubblicato il 30 Set 2013 - 4:00pm di Redazione

Giuseppe Cassini: “Alleanza tra gli Usa di Obama e l’Iran di Rohani contro gli islamisti

Obama

Presentiamo questa intervista estremamente interessante, di cui consigliamo a tutti la lettura. Non perché ne condividiamo le analisi e, soprattutto, gli auspici, anzi. Ma riteniamo estremamente interessante il fatto che, come abbiamo cercato di chiarire per mesi su questo giornale on-line, ospitando come è nostro costume anche le analisi più diverse, il mondo sta cambiando. Sta cambiando nei rapporti geopolitici, soprattutto. E, per questo, paragonare la situazione libica con quella siriana è totalmente privo di senso. In particolare, per la presenza dell’Iran che, come bene spiega Cassini, ha con gli Usa di Obama lo stesso nemico, cioè gli “islamisti” che, secondo alcuni, dovrebbero essere invece “mercenari al soldo degli Usa“. Strano, no?

La Redazione

Ormai appare chiaro ed evidente che il minacciato attacco militare da parte degli Usa di Obama contro la Siria di Bashar Al Assad non ci sarà. Un Bashar Al Assad che ha promesso di smantellare il suo arsenale chimico e di collaborare con le nazioni unite, il tutto sotto il beneplacito della Russia e dell’Iran alleati storici del regime di Damasco. Questo avviene in un quadro di sostanziale disgelo tra Iran e Usa, con la storica telefonata che si è avuta da poco tra Obama e il nuovo presidente iraniano Rohani. Un contatto tra i capi stato di due paesi che si sono apertamente dichiarati nemici sin dal 1979 anno della rivoluzione khomeinista. Una decisione che non è stata affatto gradita alla ribellione siriana , che sperava in un attacco ad Assad per indebolirlo. E questo ha recentemente aperto nuove discussioni e polemiche su chi siano davvero i ribelli siriani. Ribelli che vengono descritti come poco organizzati e poco coesi, infiltrati e finanziati da potenze straniere.

Su tutto questo abbiamo raccolto l’opinione dell’ ambasciatore Giuseppe Cassini, esperto di politica internazionale. Come prima cosa gli chiediamo cosa ne pensa dei rapporti che si stanno instaurando tra Obama e Rohani: ” L’annuale Assemblea Generale dell’Onu a fine settembre appare sempre più un sonnacchioso appuntamento di routine, dove dei leader in cerca di pubblicità conquistano il microfono per 15 minuti e riempiono l’aula di parole impastate di retorica. Quest’anno sarà diverso. La presenza al Palazzo di Vetro del nuovo presidente iraniano sveglierà anche i delegati più scafati, così come ha svegliato i lettori americani l’editoriale a firma Rohani apparso il 19 settembre sul Washington Post. «La Siria è diventata un teatro di violenza e di attacchi chimici, che noi condanniamo severamente e che non può risolversi con un approccio unilaterale. Dobbiamo lavorare assieme…Da parte del mio governo posso annunciare che siamo pronti a facilitare il dialogo fra il governo siriano e l’opposizione». Come si dice in diplomazia, per ballare il tango occorre essere in due. Questo di Hassan Rohani è un invito bell’e buono a Obama a tornare sul proscenio, dopo esserne stato allontanato dalla scaltra iniziativa di Putin. «C’è una marea nelle vicende umane che, colta al flusso, porta alla fortuna». Se Obama seguirà il consiglio di Shakespeare e coglierà questa occasione d’oro, la fortuna volgerà a suo favore”.

Quale è ora il ragionamento che  si deve fare?

Il ragionamento che si deve fare è assai semplice. Da vent’anni il mondo è costellato di attentati islamisti. Piantando una bandierina rossa su ogni punto dove è stato commesso una strage, il mappamondo si coprirebbe di rosso. New York nel 1993, poi Nairobi, Dar es-Salam, Aden, ancora New York, Casablanca, Madrid, Londra, Mumbai, Istanbul, Bali, Benghazi, Mogadiscio, Boston, il Cairo e poi l’Iraq, il Pakistan, l’Afghanistan, la Nigeria, l’Algeria, il Mali, fino all’ultima strage del 21 settembre di nuovo a Nairobi. Curiosamente nessuno nota che queste migliaia d’attentatori sono tutti invariabilmente sunniti, orfani del califfato decaduto nel 1924 per mano di Ataturk. A differenza di cristiani e sciiti la galassia sunnita, mancando di un clero gerarchico riconosciuto, genera torrenti di jihadisti fai-da-te che finiscono per concentrare il loro odio soprattutto sugli “eretici” sciiti (e in Siria sugli alawiti). Ne ha fatto cenno sul Washington Post il presidente Rohani: «Dopo l’11 settembre 2001 al-Qaeda e gli altri militanti estremisti continuano a seminare il caos». E’ naturale che queste minoranze “eretiche” – perseguitate per secoli e accerchiate da potenze sunnite zeppe di soldi e di fondamentalisti – cerchino riparo sotto il bastione iraniano. Se dunque al-Qaeda è il nemico Numero Uno nostro e dell’Iran, Teheran dovrebbe esser trattato da Washington quale nostro alleato “oggettivo. Roosevelt e Churchill non ci pensarono due volte ad allearsi con Mosca per sconfiggere l’asse nazi-fascista. Perché noi no? Stalin era forse meglio di Khamenei? Ma Teheran vuole il nucleare, obiettano gli israeliani! Falso, tutti i servizi segreti del mondo, Mossad incluso, sanno che gli ayatollah non mirano a costruire la bomba, bensì a dotarsi della capacità di costruirla un giorno, se costretti. Il che è ben diverso, ma non piace ugualmente a Israele, che di atomiche ne ha oltre cento, e che blocca pure la proposta presentata all’Onu di aprire il tavolo per la denuclearizzazione del Medio Oriente.

Cosa potrebbe succedere ora nei rapporti diplomatici tra Usa ed Israele?

Sarebbe inaudito che, per soddisfare Israele, Obama rinunciasse ad accordarsi con l’Iran ora che vi si è insediato un governo pronto a larghi compromessi. Subito Netanyahu si è affrettato a definire Rohani un “lupo travestito da pecora” e a mettere in pista la lobby dell’Aipac per sabotare la diplomazia della Casa Bianca. Che dovrebbe fare Obama? Anzitutto sventolare in faccia ai “falchi” quella pagina del suo vittorioso programma elettorale dove si leggeva: «La lezione degli anni di Bush è che l’assenza di dialogo non paga. Basta scorrere la lista dei Paesi che abbiamo ignorati per constatare il “successo” di quella strategia. Non abbiamo dialogato con l’Iran e loro proseguono col programma nucleare. Diceva Roosevelt: “Non dobbiamo mai negoziare per paura, ma mai aver paura di negoziare».

E poi, se volesse agire come Roosevelt invece di limitarsi a citarlo, avrebbe davanti a sé una larga messe di opzioni. Ne menzioniamo tre:

1) Aprire a Teheran, nell’ambasciata svizzera che rappresenta gli Usa in Iran, una Sezione d’Interessi gestita da veri diplomatici (non da agenti della Cia travestiti). Ne esiste una all’Avana, appunto sotto bandiera svizzera, aperta da Carter nel lontano 1977 fra le proteste dell’opposizione; nessuno dei presidenti successivi ha mai pensato di ritirare quella preziosa presenza diplomatica.

2) Riconoscere il ruolo potenzialmente stabilizzatore dell’Iran nella crisi siriana invitando Rohani a una Jalta sulle rive del lago di Ginevra, dove gli verrebbe chiesto di fermare la mano di Assad (l’Iran è in grado di farlo) in cambio della fine delle sanzioni che hanno depresso l’economia iraniana.

3) Sostenere il progetto di conferenza per la denuclearizzazione del Medio Oriente, come concordato nel 2010 dai 189 paesi firmatari del Trattato di Non Proliferazione. Si era anche convenuto di tenere la conferenza a Helsinki entro il 2012; siamo nel 2013 e, guarda caso, grazie a Israele tutto tace.

Basterebbero dunque tre mosse per rimettere Obama al centro della scena e contribuire a liberarci da tre incubi che tolgono il sonno a noi e il sangue a molti innocenti: la guerra civile siriana, la minaccia nucleare iraniana, le micidiali infiltrazioni di al-Qaeda.

I ribelli siriani sono in grandissima parte composti da fazioni sunnite. In molti vedono nella ribellione la vendetta dei sunniti per il massacro di Hama compiuto contro di loro nel 1982 da Hafiz Al Assad, padre di Bashar. Cosa ne pensa?

La ribellione è nata in Siria nel 2011 come in  altri paesi arabi ed è nata come una ribellione di maturazione di una nuova generazione, quella dei giovani . E questo è quello che è successo anche negli altri paesi arabi. Le masse giovanili hanno considerato ormai obsoleto il sistema del vecchio autoritarismo. Poi però la ribellione siriana è stata influenzata da una serie di gruppi islamisti puri e duri , che sono indubbiamente quelli che combattono più violentemente. Tra loro vi sono certamente quelli che ricordano il massacro di Hama del 1982 come un massacro ingiusto fatto da Hafiz padre di Bashar e per questo ora vogliono vendetta. In questo torna in gioco la questione della rivalità tra sunniti e sciiti. E tra gli sciiti possiamo inserire anche gli alawiti di Assad che sono considerati dai fanatici sunniti come gli “eretici degli eretici”. Per un teologo sunnita gli alawiti sono il peggio del peggio. Una minoranza che si è persa nei secoli sulle montagne della Siria e ha perso il collegamento anche con lo sciismo degli Ayatollah e privi di una vera struttura teologica.

Tra chi aiuta e finanzia l’“ Esercito libero siriano” vi sono in prima fila Qatar e Arabia Saudita. Quali sono i loro interessi geopolitici sul futuro assetto della Siria ?

Il Qatar e l’Arabia Saudita sono in concorrenza tra loro per ragioni locali e politiche. Possiamo dire che se l’ Arabia Saudita dice bianco il Qatar dice nero e viceverso. In ogni caso sia il re dei sauditi quanto l’emiro del Qatar hanno  un problema comune, quello di avere in casa il fanatismo islamico che con una mano cercano di soffocare, ma che con l’altra  finanziano. E  questo spiega da dove  gli estremisti islamici prendono i finanziamenti. Prendiamo come esempio gli Shabab che hanno massacrato a Nairobi 60 persone. Sono finanziati dall’Arabia Saudita. Ma non direttamente dal re. Sono finanziati da una serie di fondazioni religiose in mano ai ricchi sauditi. Vi è quindi un enorme contraddizione nel sistema feudale saudita e qatariota. Il gioco che fanno sulla Siria è molto semplice. Siccome è governata dagli alawiti, cosa assurda perché la maggioranza dei siriani è sunnita, Arabia Saudita e Qatar  considerano Assad e gli alawiti al potere una cerchia di eretici che non sono legittimati a governare il paese. Il tutto avviene comunque in un momento in cui il Qatar cerca di arginare lo strapotere dell’Arabia Saudita nella regione con molti mezzi, compreso quello dell’uso della sua emittente Al Jazeera.

In molti sostegno che Obama abbia desistito dall’ attaccare la Siria, non solo per l’ostilità di Iran e Russia, ma anche perché la caduta di Assad poteva significare la presa del potere in Siria da parte di gruppi jihadisti. E’ d’accordo?

Certamente questa è una ragione importante che ha frenato gli Usa. In Afghanistan, ad esempio, gli americani hanno avuto tantissime gatte da pelare aiutando i fanatici sunniti a prendere il potere contro i sovietici negli anni’80. Obama, che è molto intelligente, ha capito bene che aiutare i ribelli in Siria significava fare la stessa cosa fatta con i Talebani in Afghanistan. Infatti McCain, senatore repubblicano che voleva aiutare i ribelli, non capendo inizialmente che vi sono ben 800 fazioni tra i ribelli e le uniche in grade di combattere sono quelle fanatico islamiste, è stato sconfitto nella sua linea.

Intanto la guerra civile siriana iniziata nel Marzo 2011 non è ancora finita. Si parla di oltre 150.000 morti e di 2 milioni di profughi. La guerra continua, la violenza aumenta, tanti civili innocenti continuano a morire.

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