Omicidio stradale: solo propaganda?

Pubblicato il 14 Gen 2014 - 6:00pm di Redazione

Il reato di omicidio stradale è veramente una soluzione?

omicidio stradale

Dopo il decreto legge cosiddetto svuota carceri n. 146 del 23 dicembre 2013 (“Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”) e dello schema di disegno di legge di delega al governo in tema di riduzione dei tempi processuali della giustizia civile (“Disposizioni per l’efficienza del processo civile, la riduzione dell’arretrato, il riordino delle garanzie mobiliari, nonché altre disposizioni per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata”), collegato alla legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 27 dicembre 2013), il Ministro Annamaria Cancellieri torna a parlare di giustizia.

In particolare, la Cancellieri, probabilmente influenzata dai fatti di cronaca sempre più al centro dell’attenzione dei sistemi di comunicazione di massa, chiede l’introduzione all’interno del Codice della Strada (decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992) del reato di omicidio stradale, allo scopo di disincentivare la cosiddetta pirateria di strada.

La proposta, come prevedibile, riscontra il consenso delle associazioni dei familiari e delle vittime della strada ma non dei giuristi, ossia dei tecnici di settore, circostanza che forse suscita perplessità in considerazione del fatto che l’attuale Ministro della Giustizia proviene, invero, da un governo tecnico. A ben vedere, ci si chiede se, alla luce dei fatti di cronaca, sicuramente importanti e drammatici, riguardanti le vittime della strada, la soluzione avente per oggetto l’introduzione del reato di omicidio stradale per disincentivare condotte indubbiamente intollerabili sia l’unica plausibile.

Va prima di tutto premesso che la questione “giustizia” è molto più complessa di come viene descritta dai mezzi di comunicazione comprendendo, infatti, non solo la sua rappresentazione sotto l’aspetto sostanziale (giustizia civile, giustizia penale, giustizia amministrativa, giustizia tributaria) e, quindi, per quel che qui interessa, delle fattispecie di reato, ma anche e soprattutto sul piano processuale. Va detto che la tematica del diritto processuale penale è strettamente connessa con quella dell’esecuzione della pena, le cui modalità sono state oggetto di contestazione da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la pronuncia del 9 gennaio 2013, con cui l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”, nonché obbligata ad adottare misure compensative interne per rimediare al noto fenomeno del sovraffollamento delle carceri. Conseguentemente, è stato introdotto nel nostro ordinamento il già menzionato decreto legge svuota carceri.

Ora, per quanto riguarda il sistema penale, va puntualizzato che esso interviene in un momento successivo alla verifica dei fatti e della commissione delle condotte illecite, attraverso misure repressive. Dunque, il diritto penale, salvo pochissime eccezioni, non offre agli offesi una tutela preventiva ma agisce con modalità di carattere punitivo. Pertanto, sorgono non pochi dubbi sull’efficacia dell’introduzione dell’ennesima ipotesi di reato (nella specie, di omicidio stradale), considerando che un’analisi approfondita e non miope dell’attuale Codice Penale e delle leggi complementari, avrebbe certamente fatto riscontrare che la repressione di quelle condotte criminose esistesse già.

Si pensi all’omicidio colposo di cui all’art. 589 del Codice Penale e alla guida in stato di ebbrezza, che oggi configura un’ipotesi di reato ai sensi e per gli effetti dell’art. 186 del Codice della Strada.

In particolare, l’art. 589 del Codice Penale prevede: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”.

La condotta dell’omicidio stradale pare, dunque, già penalmente rilevante e sanzionata. Il problema, semmai, riguarda l’esecuzione delle pene e non appunto la loro previsione. In altri termini, la questione concerne il sistema processuale, ossia se le pene vengono realmente comminate nel massimo, concretamente scontate o, se piuttosto, non prevalga la concessione di benefici e attenuanti. Pertanto, contrastare o, forse, sarebbe preferibile dire curare, fenomeni sociali attraverso il sistema penale e, in particolare, inasprendo le pene non sembra una soluzione efficace perché sarebbe come affermare che oggi non esistono più truffatori perché il fatto della truffa è un delitto severamente punito dal Codice Penale. Circostanza, quest’ultima, assolutamente lontana dalla realtà.

omicidio stradaleTale problematica è stata ben descritta dall’attuale Sindaco di Milano, avvocato Giuliano Pisapia, il quale ha così affermato: “Di fronte a ogni delitto particolarmente efferato, o che comprensibilmente suscita rabbia e paura, di fronte alle notizie lanciate dai mass media nella cronaca nera – microcriminalità, pirateria stradale … – il legislatore raddoppia le pene e non interviene in maniera organica con strumenti di prevenzione, controllo, rafforzamento delle indagini, celerità dei processi. […] Ma dopo un nuovo crimine o di fronte a un’altra emergenza sociale, ancora una volta si moltiplicano le minacce, le pene, le grida, che servono solo a dare l’impressione che il governo si stia impegnando risolutamente a sanare la piaga. Pene esagerate non sortiscono effetti deterrenti, ma indifferenza e assuefazione alle minacce” (Nordio – Pisapia, In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili, Milano 2010, pag. 61).

Tali soluzioni, simili a quelle adottate con il femminicidio, con gli atti persecutori (giornalisticamente noti come stalking) o con il reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, paiono, per contro, rispondere solo a esigenze di propaganda. Inoltre, tali rimedi, chiaramente repressivi, si mostrano incoerenti con i recenti criteri seguiti dal legislatore, diretto ad adottare provvedimenti svuota carceri, leggi sull’amnistia e sull’indulto o, addirittura, come accaduto recentemente in Parlamento, a proporre la modifica dell’art. 275 del Codice di Procedura Penale sui presupposti della custodia cautelare. Secondo la suddetta proposta di modifica, approvata dalla Camera dei Deputati, la custodia cautelare potrà essere comminata solo in casi eccezionali.

Ciò posto, alla luce di quanto affermato, risultano doverose almeno due riflessioni.

In prima battuta, legiferare tanto (prassi sempre più diffusa) non significa legiferare bene. È di facile comprensione come la certezza del diritto, sotto tutti gli aspetti, compreso quello della certezza della pena in ambito penale, non possa essere raggiunta da un ordinamento continuamente invaso da leggi, di difficile conoscibilità anche per gli operatori del settore.

In secondo luogo, occorre prendere coscienza del fatto che il sistema penale non è il rimedio più efficace per risolvere problemi sociali ma, semmai, costituisce l’extrema ratio.

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