Siria 2.0, il reportage di Amedeo Ricucci

Pubblicato il 2 Set 2013 - 10:05am di Redazione

Intervista ad Amedeo Ricucci sulla crisi in Siria

Continua il dibattito sulla crisi in Siria di Corretta Informazione, anche con posizioni molto diverse tra loro. Quali sono i motivi scatenanti? Chi sono i ribelli? Qual è il ruolo di Assad e il suo rapporto con gli Usa? Riproponiamo, dunque, questa intervista ad Amedeo Ricucci.

Siria

Sulla crisi siriana si versano nero su bianco ogni giorno fiumi di inchiostro, dove è possibile leggere tra articoli, libri, blog e siti internet di vario genere delle versioni, spesso discordanti tra loro, su quello che sta accadendo nell’ ex protettorato francese. Quello che vi è di certo, per ora, è l’altissimo numero di vittime che ha provocato questa guerra. Tenendo conto che spesso quando si parla di “cifre ufficiali” nei numeri delle vittime è sempre difficile una chiara ricostruzione, e quando si fanno questi calcoli si tiene conto quasi sempre delle testimonianze dei civili e di quello che affermano le organizzazioni per i diritti umani, le vittime dall’inizio del conflitto sarebbero oltre 20.000.  Ma, cifre a parte, la carneficina che sta insanguinando la Siria da 18 mesi è sotto gli occhi di tutti. Questa volta abbiamo raccolto la testimonianza del giornalista della Rai Amedeo Ricucci, che si è recato in Siria lo scorso mese di ottobre insieme al giornalista Cristiano Tinazzi e al fotografo Elio Colavolpe, dove ha prodotto il reportage “Siria 2.0” per “La Storia siamo noi”.

Come prima cosa, gli chiediamo se è d’accordo con quanti sostengono che la crisi siriana durerà ancora molto, e la sua risposta è chiara:

Sono abbastanza d’accordo con chi dice che la guerra durerà ancora molto.. La situazione sul terreno è ora di stallo, nonostante i ribelli abbiamo lanciato in estate una grande offensiva sulle città principali, Aleppo innanzitutto, ma anche nei sobborghi di Damasco. A questa avanzata inziale, che li ha portati a conquistare considerevoli porzioni di territorio, vi è stata una controffensiva delle truppe lealiste di Assad che ha ripreso alcune zone, provocando quella che è una vera e propria spartizione del territorio. Aleppo è una città che oggi è controllata al 70% dall’Esercito Siriano Libero e il restante 30% è in mano all’esercito. Ma è difficile che vi siano dei progressi militari, che a volte si contano in termini di centimetri al giorno. Spesso le zone passano velocemente dal controllo di uno rispetto all’altro, ed è difficile che in questa situazione vi sia una soluzione militare. L’esercito lealista ha forze sovrabbondanti, ha una superiorità aerea indiscussa, la quale terrorizza la popolazione e riesce a martoriare le terre conquistate dall’Esl. Forse potrebbe, tecnicamente, riconquistare tutto il paese a prezzo di una carneficina, ma soprattutto non sarebbe in grado di controllare il territorio. Mantenere il controllo significherebbe mandare i propri soldati per strada, cosa che Assad non può fare assolutamente, perché non si fida fino in fondo del proprio esercito, se non dei gruppi specializzati come l’aviazione e i reparti dove la componente etnica degli alawiti ha la maggioranza. Per il resto, tutto l’esercito di Assad è composto prevalentemente da sunniti, che spesso e volentieri disertano, e comunque non sparerebbero addosso ad altri sunniti. Il controllo del territorio, quindi, non può essere preso dall’esercito. E non può neanche prenderlo l’Esercito Siriano Libero perché, per quanto se ne dica, non è assolutamente vero che via sia un fiume di armi che si sta riversando in Siria. I ribelli hanno dotazioni che sono spesso quelle che riescono a strappare al nemico. Personalmente, che ho passato  quindici giorni nella zona di Aleppo, ho visto solo mitragliatrici pensanti e nient’altro. Ho visto anche penuria di proiettili per i kalashnikov, che venivano centellinati. È segno che di tutti questi armamenti che arriverebbero via Libano attraverso le forniture di gruppi legati all’ex presidente Rafik Hariri, oppure dal Qatar e Arabia Saudita attraverso la Turchia, in realtà non ci sono. Ogni brigata fa con il poco che ha. Lo stesso Esercito Siriano Libero è composto in gran parte da disertori che scappano con le proprie armi. A questi disertori si sono aggiunti contadini, studenti, operai che vogliono proteggere la propria famiglia e il proprio territorio. Ma la loro forza militare, francamente, è molto scarsa. Rispetto alla tua domanda, una soluzione militare al momento non la vedo, né per gli uni ne per gli altri. Forse ci potrebbe essere una soluzione politica, visto che comunque in Siria, rispetto alle altre primavere arabe, pesa il ruolo degli attori sia regionali che internazionali che si combattono per interposta persona. Quella siriana è una sorta di guerra per procura, che si sta facendo a livello regionale, da una parte l’Iran e dall’altra Qatar, Arabia Saudita e Turchia. E, a livello internazionale, sulla crisi siriana si incrociano i veti degli Usa da una parte e di Cina e Russia dall’altra. Sembra che si stia lavorando ad una soluzione politica che vede Assad andare via verso un esilio dorato. Questa è la soluzione che potrebbe spuntare, ma non so ancora quanto tempo ci voglia ancora.

SiriaIn Siria vi sono indubbi interessi internazionali. Assad viene sostenuto da Iran e Russia. Mentre in tanti affermano che alcune frange del cosiddetto Esercito Libero Siriano siano finanziate ed appoggiate dal Qatar e dall’Arabia Saudita. Cosa ne pensi?

Che vi siano frange appoggiate è una cosa. Come invece tende a dire la propaganda di Assad che in Siria vi sia una grande maggioranza di combattenti stranieri, jihadisti e terroristi credo sia pura menzogna. In 15 giorni girando in continuazione nelle zone adiacenti ad Aleppo, posso assicurare di aver visto solo un combattente straniero. Si tratta di un algerino, che peraltro aveva un regolare contratto come body guard di un comandante dell’Esl. Non ho visto altri stranieri. È vero anche che non ho potuto avvicinare alcune brigate salafite che combattono in prima linea ad Aleppo e, da tutte le informazioni avute in giro, sarebbero composte anche da stranieri. Quando si parla di stranieri si parla di iracheni e libici. C’è chi spara numeri come se fossero caramelle ma, secondo le stime più serie, i combattenti stranieri non supererebbero il 10% dell’insieme dei combattenti dell’Esercito Siriano Libero. Detto questo, aggiungo una considerazione che mi sembra ovvia: trovo assai legittimo e tranquillo che vi siano combattenti musulmani che vadano in Siria a dare una mano ai loro fratelli che lottano per la libertà. Quando, durante la guerra civile in Spagna negli anni ‘20, dall’Italia come da altri paesi partivano comunisti e anarchici per andare ad aiutare i loro compagni, nessuno si è mai sognato di chiamarli mercenari o di additarli con termini spregiativi. Hanno dato un contributo alla guerra civile, un contributo che poi nei fatti non è servito perché Franco prese lo stesso il potere. Non capisco perché non si dia lo stesso giudizio di fronte ai combattenti stranieri che vanno in Siria. Combattenti che poi, alla fine, sono solo “buoni musulmani”. Vi è una corrente dei salafiti, religiosa e non politica, che non predica il terrorismo di Bin Laden né tantomeno si rifà ad Al Qaeda, ma crede nella Jihad e nella Guerra Santa perché Assad viene visto come il nemico. Non mi sembra un fenomeno così preoccupante. Il comandante dell’Esl ad Aleppo, rispondendo a una domanda identica a quella che mi è appena stata fatta, mi ha risposto: “Se l’occidente ci desse le armi che noi chiediamo invano da mesi, noi non avremmo bisogno di interventi armati dall’estero, né avremmo bisogno dell’aiuto dei nostri fratelli dall’estero. Purtroppo, però, armi non ne abbiamo. I problemi, se ci saranno, ci saranno dopo, ma abbiamo la forza e la capacità di evitare derive terroriste o fondamentaliste nel futuro della Siria“.

Alcuni media hanno raccontato della presenza di 100.000 pasdaran a Damasco. Che notizie ha in merito?

Anche questa rischia di essere una delle tante leggende metropolitane che si raccontano sulla guerra in Siria. Anche io ho sentito parlare molto di iraniani che combatterebbero al fianco dell’esercito regolare. Lo dicono i ribelli, di tutte le brigate, sia di quelle religiose che di quelle più laiche. Io ho visto tanti prigionieri, e non ho mai visto un iraniano, non ho mai visto foto o video che documentassero con certezza la presenza di truppe iraniane, per di più nei numeri cosi massicci di cui mi hai parlato. Nel parlare della presenza di iraniani in Siria ci andrei molto cauto, cosi come di chi parla della presenza di Hezbollah in Siria, se non altro nel parlare di presenza massiccia.

Siria e Libano sono due stati geopoliticamente legati fra loro. E in Libano vi sono forti riflessi della crisi siriana, dove vi sono zone schierate sia con Assad che con l’Esl. Secondo te, finita la crisi siriana, scoppierà in Libano  una nuova guerra civile?

SiriaDiciamo subito che il Libano, avendo avuto 17 anni di una guerra civile che ha praticamente distrutto il paese a livello economico, ha talmente tanta paura di una nuova guerra che qualsiasi mossa politica viene calcolata al centimetro. Hanno paura gli Hezbollah, come hanno paura i sunniti di Hariri che si sono apertamente schierati con la rivoluzione siriana. Troppo spesso, di fronte alle fiammate della crisi siriana che si riflettono in Libano, si dice  “Siamo agli albori di una nuova guerra civile”. Dubito che ci sarà una nuova guerra in Libano, non sono queste le premesse. In ogni caso bisognerà tenere conto, come ricordavi, che Libano e Siria fanno parte della stessa entità geopolitica. Sono due paesi che sono stati legati a lungo assieme in epoca ottomana e poi sotto mandato francese. Sono identità statali molto fragili entrambe, e vivono una frontiera che spesso vede le stesse famiglia da una parte e dall’altra. È chiaro, quindi, che i legami sono tanti e la guerra civile siriana ha ripercussioni anche in Libano. Ma tutte le forze politiche del Libano sono prudenti. È prudente Hezbollah, cosi come lo sono i cristiani maroniti e i sunniti. L’equilibrio politico libanese è talmente fragile che non ci si può schierare apertamente né con Assad né con l’Esercito Siriano Libero. Infatti, i politici libanesi si comportano cose se fossero vecchi “democristiani”: dicendo mezze parole, facendo qualche apertura, accogliendo i profughi. Profughi che, non a caso, sono tenuti sotto stretto controllo per evitare che diventino strumento di propaganda. Su questo fa eccezione la città di Tripoli, che è una città legata al confine siriano, dove ci sono due quartieri contrapposti da tempo, in cui vive una minoranza alawita e un altro dove vive  una minoranza che è ora schierata con l’Esl. A Tripoli  vanno avanti gli scontri tra queste due fazioni già da tempo, e sono precedenti allo scoppio della guerra civile in Siria. Tripoli è sempre stata una città legata al fanatismo religioso, dove  i sunniti sono sempre stati sempre più radicali. Tripoli fa dunque eccezione. A Beirut, invece, la situazione è più tranquilla e gestibile. Io credo che il Libano farà di tutto per evitare che la guerra civile siriana possa infiammare il paese.

 

Fonte: nicolalofoco.com

Intervista a cura di Nicola Lofoco

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