Il live senza live

Pubblicato il 13 Feb 2015 - 3:47pm di Irene Masala

tupac-live

Un concerto è, per definizione, uno spettacolo live in cui il pubblico ha il privilegio di vedere dal vivo l’artista per il quale decide di pagare il costo del biglietto. Così è stato fino ad ora, e ha ampiamente funzionato.

Il mercato delle tournée conosce sicuramente meno crisi di quello dei cd, e il motivo è semplice: una canzone si può scaricare da internet, gratuitamente. La qualità non sarà mai come quella incisa nei dischi, è vero, ma la comodità di averla in un secondo, gratuitamente, con un solo click prevale sulla qualità acustica. I concerti sono riusciti a lungo a non farsi trascinare dal fallimento delle etichette discografiche, rimanendo in qualche modo l’unico baluardo di ciò che non si può riprodurre a costo zero, non si può “taroccare”, non si può mistificare. L’esperienza di un concerto, l’attesa di ore per vedere l’artista apparire sul palco, il momento in cui si spengono le luci e il boato del pubblico, migliaia di persone unite da un unico comune obbiettivo: godere di quello spettacolo in qualche modo unico e irripetibile.

Questo è stato vero fino a ieri. Oggi, con la performance di Tupac dopo quasi vent’anni dalla sua morte, anche quella piccola certezza è crollata. Certezza già minata dal prototipo giapponese Hatsune Miko, ologramma del personaggio di fantasia diventato una pop star grado di fare il tutto esaurito ai suoi concerti. Il “miracolo” è reso possibile dal software di sintesi vocale Vocaloid, sviluppato dalla Yamaha, in grado di accompagnare alla proiezione tridimensionale che salta da una parte all’altra del palco, una voce soave come un usignolo.

Quello che fino a ieri si definiva talento, oggi è riproducibile in scala pressoché illimitata. Hatsune è talmente “brava” che l’estate scorsa è stata chiamata per aprire il concerto di Lady Gaga, talmente famosa che è stata invitata nell’ambitissimo palco del David Letterman Show. Lo spettacolo è stupefacente, su questo non c’è dubbio, ma passato lo stupore, la verità è che ci troviamo davanti a un artista che non esiste. Così a Hatsune Miko e Tupac si è unito anche Michael Jackson, e chissà quanti altri torneranno dal passato per deliziarci con le loro performance fatte di immagini riflesse all’infinito.

Incredibile, strabiliante, esempio incontrovertibile dell’evoluzione umana che in qualche modo inizia a sconfiggere la morte. Probabilmente tra qualche anno tutto ciò sarà talmente sdoganato che non ci si impressionerà più nessuno e, forse, l’uso degli ologrammi si estenderà anche agli artisti viventi. Nessuno sarà più costretto ad esibirsi con l’umore storto, col mal di schiena o con le occhiaie, ci sarà il comodo ologramma a fare quello che non possiamo o non vogliamo. Il pubblico perderà sempre più la consapevolezza di cosa reale e cosa non lo sia, lasciandosi trasportare dall’illusione, perderà la cognizione della realtà, o almeno quella che soliamo considerare tale. Così un concerto perderà la sua caratteristica fondante, essere un live, e la cosa peggiore è che rischiamo di non rendercene conto, abbagliati dalla magia effimera degli ologrammi.

Al di là delle previsioni, colpisce il coinvolgimento sincero e reale che il pubblico prova durante questi concerti, come se si verificasse una collettiva sospensione dell’incredulità in grado di trasformare quell’opera di fantasia in realtà. Bello o brutto, giusto o sbagliato che sia, è indubbio quale sia il potere di questo strumento, di questo traguardo, e tutti i rischi e le distorsioni che ne possono derivare.

Per dirla con le parole di qualcuno più saggio e lungimirante di noi “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti”. Einstein l’aveva previsto più di sessanta anni fa, quel momento potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo.

 

Info sull'Autore

Laureata in Scienze Politiche e Giornalismo ed Editoria, da anni si occupa di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare interesse per il Medio Oriente e il conflitto arabo-israeliano. Due grandi passioni, scrivere e viaggiare, l'hanno portata a trascorrere gli ultimi sei anni tra Roma, Valencia e Israele/Palestina. Ha inoltre frequentato il Master in Giornalismo Internazionale organizzato dall'IGS (Institute for Global Studies) e dallo Stato Maggiore della Difesa, nell'ambito del quale ha avuto modo di trascorrere due settimane come giornalista embedded nelle basi Unifil in Libano.

Lascia Una Risposta