Obama in Medio Oriente: guerre e speranze

Pubblicato il 1 Mar 2013 - 3:05am di Redazione

La visita di Obama in Medio Oriente alimenta una tiepida speranza per il processo di pace, mentre la Francia in Mali riaccende la Jihad contro l’Occidente

ObamaÈ ufficiale, il prossimo 20 marzo il presidente Barak Obama effettuerà la sua prima visita ufficiale in Medio Oriente e gli israeliani, abituati ad operazioni militare, le hanno già assegnato un nome in codice: Unbreakable Alliance. L’obiettivo focale del viaggio sembra sia quello di fare il punto della situazione con Israele riguardo alla la crisi siriana, in particolare dopo il recente attacco israeliano alle zone di confine con la Siria, e al nucleare iraniano in seguito all’incontro dei 5+1 avvenuto il 26 febbraio. Ovviamente un altro tema da trattare sarà la condizione dei Territori Occupati, sopratutto dopo l’ampliamento delle colonie nella zona E1 ad est di Gerusalemme, voluto da Netanyahu in risposta al riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite, e dopo l’ultimo attacco a Gaza di novembre.

Pare ci sia, da parte della Casa Bianca, la volontà di ripristinare i negoziati di pace, nonostante la questione non sia stata menzionata dal  portavoce di Obama, Jay Camey. La permanenza americana in Medioriente durerà non più di tre giorni e farà tappa a Gerusalemme, Ramallah e Amman. In occasione della visita in Cisgiordania, Obama incontrerà il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ma non porterà con se delle nuove strategie  di pace. Si limiterà, invece, ad ascoltare i suoi interlocutori tra cui anche Shimon Peres e re Abdullah II di Giordania. Un’approccio diverso, più moderato e realistico rispetto allo slanciato decisinismo paventato durante il discorso al Cairo nel 2009, tragicamente caduto nel dimenticatoio. La notizia del viaggio coglie infatti di sorpresa tutti coloro convinti che, dopo gli insucessi del suo primo mandato, il presidente americano avrebbe optato per un sostanziale addandono di quel focolaio di crisi. È indubbio che gli interessi strategici e geopolitici americani nella zona non possano prescindere da questo incontro, sopratutto in virtù dello storico legame tra Usa e Israele e del mancato viaggio in “Terra Santa” durante il primo mandato, reso ancora più grave dalla visita in Egitto e Tunisia.

Ma questo non è l’unico banco di prova dell’Occidente in questo periodo. L’altro versante caldo è quello del Mali dove, in seguito al golpe di marzo, gli scontri risultano pressoché continui. L’intervento delle forze militari francesi in favore dell’esercito maliano, in grave difficoltà dopo la caduta della città di Konna nelle mani dei ribelli, ha scatenato la vendetta dei terroristi di Al Quaeda che, dopo l’assalto alla centrale per l’estrazione di gas ad In Amenas e il rapimento di diversi occidentali in Algeria, hanno minacciato una jihad, guerra santa, contro la Francia.

MaliLe previsioni del ministro degli Esteri francese, di un intervento lampo di alcune settimane, si sono rivelate quantomeno ottimistiche e, dopo il coinvolgimento dell’Algeria, la chiamata alla jihad come dovere per ogni mussulmano in grado di offrire se stesso o denaro, non è che l’ultima fiamma in quello che si prospetta un incendio potenzialmente indomabile. La mobilitazione francese in Mali è stata infatti paragonata all’occupazione sionista della Palestina, nella speranza di suscitare lo stesso trasporto emotivo. Certo, con quest’operazione militare, coadiuvata da Germania, Italia e Regno Unito, la Francia ha mandato un chiaro segno del ritorno al ruolo di potenza leader in Africa occidentale.

È chiaro a tutti che le motivazioni sottese a questa scelta militare non siano di tipo umanitario ne antiestremismo islamico. La motivazione principale si chiama Total, la compagnia pretrolifera che fa capo alla Francia, nonostante sia una multinazionale. Ovviamente la presenza di gruppi di ribelli estremisti armati non fa che rendere quest’intervento più legittimo agli occhi dell’opinione pubblica, esattamente come giustifica i crimini di guerra israeliani in risposta al terrorismo palestinese. Ma questa non è la stessa partita, il campo non è la Palestina, e gli attori, più variegati e imprevedibili, hanno un nuovo nemico “crociato” contro cui unire le loro forze.

Info sull'Autore

Lascia Una Risposta