Gabo: l’insegnamento di un Uomo

Pubblicato il 26 Apr 2014 - 9:00am di Irene Masala

Uno scrittore, un intellettuale, ma sopratutto un grande essere umano. Ecco cosa ha perso il mondo con la morte di Gabo

Gabo

Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall’alto al basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi”. Questa è una delle tante lezioni che Gabo, il premio nobel di Cent’anni di solitudine, ha imparato dal genere umano.

La sua identità politico rivoluzionaria si era incarnata nella coscienza di unità di politica e azione che stava sorgendo in America latina, nella consapevolezza che fosse necessario portare avanti questioni comuni, prendere decisioni e agire come un unico fronte. Per questa ragione, per questa nuova versione dell’America latina che Gabo ha mostrato all’occidente, è stato descritto da Isabel Allende come “La voce che ha raccontato al mondo chi siamo e che ha mostrato ai latino-americani la propria immagine dallo specchio delle sue pagine”.

Nonostante la ferma volontà di non iscriversi né identificarsi mai con nessun partito politico, il suo impegno politico è inscindibile dalla sua vita e, talvolta, dalle sue opere. Nel ’73, nel momento più alto della sua carriera letteraria, decise di tornare al giornalismo di strada, come reazione al colpo di Stato del Generale Pinochet in Cile. Il rifiuto di pubblicare qualsiasi altra opera finché il dittatore fosse rimasto al potere fu principalmente una presa di posizione politica mossa dall’ideale, forse utopico, che la cultura, la letteratura, potessero in qualche modo cambiare il corso della storia. Il silenzio durò circa cinque anni, durante i quali lo scrittore realizzò che avrebbe potuto fare molto di più contro Pinochet scrivendo buoni libri che non scrivendo affatto. “Mi ero sottomesso, senza rendermene conto, alla censura preventiva di Pinochet”. Decise così di tornare alla scrittura e di partecipare, nel 1974, alla seconda sessione del Tribunale Russell, con l’obiettivo di indagare a fondo le violazioni dei diritti umani in Cile.

Un altro aspetto importantissimo della vita artistica e politica di Gabo fu il legame di solidarietà e amicizia con Fidel Castro, “mi sento così identificato con la rivoluzione cubana e ho rapporti così stretti con la gente e i dirigenti di quest’isola, che ho finito con l’essere inefficace come narratore propagandista della rivoluzione, qualunque cosa io dica a favore di Cuba sembra ispirata da un impegno che va al di là della realtà politica”.  Il legame col lider maximo era più di una semplice amicizia, era collaborazione, era fiducia, tanto da portare lo scrittore ad essere vero e proprio protagonista della politica estera cubana, come nel 2004, quando facilitò la ripresa dei rapporti diplomatici tra Cuba e Colombia. Questa esposizione comportò anche aspre critiche nei confronti dello scrittore, accusato persino di essere il ”cortigiano di Castro” e di “passività nella difesa dei diritti umani” durante il caso Padilla. Accuse spesso strumentali e politicizzate, dato che nel 2003 Gabo non esitò ad  opporsi apertamente alla pena di morte inflitta a tre cubani che tentarono di dirottare un traghetto e alla forte repressione che ne conseguì.

Per quanto riguarda il suo rapporto con le ideologie politiche, aveva manifestato la speranza che il mondo diventasse socialista, intendendo con socialismo un sistema di progresso, libertà e uguaglianza relativa. Nel 1971 dichiarò di continuare a credere che il socialismo potesse essere una possibilità reale e una soluzione necessaria per l’America Latina. A chi continuava ad identificarlo come comunista, rispondeva di essere sempre stato un critico molto serio e attento della politica dell’allora Unione Sovietica, non negando di nutrire delle speranze riguardo quell’esperimento come di quello successivo, socialista, in Venezuela.

Era inoltre convinto che nessun governo sia realmente interessato al conseguimento della pace e che a volerla siano solo singole persone di classe ed estrazioni differenti che, unite insieme nella lotta, potrebbero formare la maggioranza, e che questa maggioranza popolare sia l’unica vera forza in grado di spingere verso una nuova politica di pacifismo, ringrazio i suoi sostenitori, in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel, con queste parole:

Noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione di una nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra”.

È con queste parole che ricordiamo e salutiamo un grande uomo e intellettuale che, con le sue opere, ha arricchito la cultura e la politica contemporanea. Che il suo ricordo ci aiuti a credere, davvero, che non sia ancora troppo tardi per cambiare.

Info sull'Autore

Laureata in Scienze Politiche e Giornalismo ed Editoria, da anni si occupa di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare interesse per il Medio Oriente e il conflitto arabo-israeliano. Due grandi passioni, scrivere e viaggiare, l'hanno portata a trascorrere gli ultimi sei anni tra Roma, Valencia e Israele/Palestina. Ha inoltre frequentato il Master in Giornalismo Internazionale organizzato dall'IGS (Institute for Global Studies) e dallo Stato Maggiore della Difesa, nell'ambito del quale ha avuto modo di trascorrere due settimane come giornalista embedded nelle basi Unifil in Libano.

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