Lega: Calderoli e il razzismo

Pubblicato il 17 Lug 2013 - 6:00pm di Redazione

La natura razzista della Lega Nord in vent’anni di imbarbarimento politico. Oltre il “caso” Calderoli

Pubblichiamo volentieri questo intervento sulla natura della Lega Nord, prendendo spunto dalle recenti dichiarazioni razziste del Ministro Calderoli. Un intervento importante perché chiarisce cosa sia stata, e continua ad essere, la Lega Nord in questo Paese. Una valutazione che, però, non può permettere agli “antirazzisti” dell’ultim’ora di rifarsi una verginità da tempo perduta. In primis il Pd. E per quanto riguarda la sua ipocrisia, non è necessario andare a rispescarsi le dichiarazioni di Massimo D’Alema sulla Lega come “costola della sinistra“. Basta leggersi una recente intervista di Pierluigi Bersani. Ci risparmiassero, almeno, la loro ipocrisia.

La Redazione

LegaIrrita contribuire ad amplificare un evento infelice, che in questi giorni ci ha visti protagonisti sulle pagine di tutti i quotidiani, anche internazionali – ma la misura è colpa, e non possiamo sorvolare o minimizzare anche questa volta come se nulla fosse successo.

Da vent’anni la Lega Nord, un partito xenofobo e secessionista – sulle cui vergogne ci ha informati precisamente Furio Colombo nel suo Contro la Lega (2012) –, danneggia il nostro Paese, sfruttando i più bassi istinti razzisti. Si tratta di un partito che ha fatto dell’intolleranza la sua bandiera (quella tricolore preferisce bruciarla) e dell’odio e della persecuzione del diverso una missione. Legato a quella storia antiquaria di cui parlava Nietzsche, ha fatto delle proprie tradizioni e della propria identità un oggetto di venerazione, considerando l’inesistente “razza padana” un elemento costitutivo della propria essenza da difendere a tutti i costi dalle contaminazioni esterne.

Non basterebbero queste pagine per descrivere tutti gli orrori di cui la Lega si è macchiata (e infatti Colombo ne impiega quasi centocinquanta), che vanno dall’introduzione del reato di clandestinità ai centri di identificazione ed espulsione, dalle impronte digitali prese ai bambini rom ai respingimenti di Maroni condannati dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Ora però la Padania è solo un sogno lontano, le camicie verdi e le ronde sono un ricordo di altri tempi: la Lega è scomparsa, caduta vittima di quegli stessi scandali che una volta denunciava e oggi travagliata al suo interno da una lotta fratricida che la sta corrodendo. Ma – lo so, è dura crederci – ha raccolto consensi per molto (e troppo) tempo, è stata votata non solo a livello locale ma anche nazionale; e oggi, benché alle recenti elezioni politiche abbia totalizzato un misero 4%, si ritrova a governare tre grandi regioni del Nord, Piemonte, Lombardia e Veneto, vaneggiando di una macroregione, versione maroniana della secessione.

Lungi dall’essere un inoffensivo “giudizio estetico”, l’insulto rivolto al ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge paragonata ad “un orango” – l’ultimo di una catena che trova in Borghezio il suo lucchetto – è palese razzismo perché paragona l’africano alla scimmia, noto stereotipo che anche negli stadi è stato adottato più volte contro i giocatori di colore. Non ci sorprende se a pronunciarlo è un esponente della Lega, tra l’altro autore di una legge elettorale che lui stesso ha definito “una porcata”, che non si è mai fatto mancare niente, compresa una escursione presso una moschea mai realizzata con tanto di maiale al guinzaglio. Però ci indigna, e non smetterà mai di suscitare repulsione, perché Roberto Calderoli è il vicepresidente del Senato, la seconda istituzione più importante del nostro Paese. L’incompatibilità tra l’insulto e la carica rappresentata è così abnorme che non sarebbe necessario aggiungere altro: una figura pubblica, per di più di quel livello, che si permette di adottare un paragone simile non è degna, con i suoi atteggiamenti tribali e folkloristici, di rappresentare nulla, nemmeno una associazione di clown, figuriamoci il Senato. In casi come questi le scuse non bastano, le conseguenze sono inevitabili, e le dimissioni sono l’unico atto dovuto e necessario per garantire la credibilità delle istituzioni, già dilaniate da uno scontro ventennale tra poteri (e, checché ne dica Maroni che ha già sentenziato la chiusura del caso, bene ha fatto la procura di Bergamo ad aprire un indagine per diffamazione aggravata dall’odio razziale).

Lo squallore e l’imbarbarimento della dialettica politica è diventato intollerabile  e pur di sopravvivere, e a imporre su di sé l’attenzione, si è disposti a fare di tutto, anche a perdere la propria dignità. Quello che ci tocca sentire – come diceva Aristofane nei Cavalieri – sono solo “polpette repellenti”, questa volta tinte pure di razzismo. Che cosa dobbiamo aspettarci, ancora?

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