La prescrizione colpisce ancora

Pubblicato il 30 Mag 2013 - 2:27am di Redazione

Penati “toccato” dalla prescrizione

Ora non si potrà più malignare, affermando che le modifiche alla legge sulla prescrizione siano state fatte per Silvio Berlusconi! Bisogna aggiungere alla lista anche Filippo Penati, ex capo della segreteria politica di Bersani, che in prescrizionequesti giorni ha incassato la prescrizione per l’inchiesta chiamata “Sistema Sesto”. Riferita al tempo in cui era sindaco di Sesto San Giovanni quando, secondo l’accusa, avrebbe chiesto una maxitangente di 20 miliardi di lire al costruttore Giuseppe Pasini, interessato ad avere il si per i progetti sulla riqualificazione delle aree ex Falck e Marelli.

Il recente decreto anticorruzione del guardasigilli Paola Severino ha accorciato i termini per la concussione per induzione, consentendo di rimodulare l’accusa a carico di Penati, in quanto lo stesso non avrebbe costretto con minacce o violenza, ma “indotto” Pasini a pagare. Tra l’altro la cifra effettivamente pagata è stata di 4 miliardi di lire. La nuova “concussione per induzione” ha ridotto le pene (da 12 a 8 anni) e aggiornato i termini di prescrizione (da 15 a 10). Il reato di Penati risale a ben 13 anni fa. Quindi tutto regolare.

Penati aveva dichiarato che avrebbe rifiutato la prescrizione, ma, invece, non si è nemmeno presentato in aula per farlo. Ha soltanto affermato che farà ricorso in Cassazione per annullare la sentenza ed essere assolto nel merito.

Il nostro codice penale, così com’è strutturato, è molto garantista, in quanto prevede che nel processo si possano ascoltare anche decine di testimoni. Un bene per il cittadino, perché altrimenti potrebbe rischiare di essere condannato anche se innocente, ma un male per la giustizia, visto che con tutto il tempo che richiede rende concreta l’eventualità della decadenza del giudizio. Anche l’istituto del “patteggiamento” e quello del “rito abbreviato” sono poco utilizzati nonostante sia prevista, per chi ne usufruisce, la riduzione della pena fino a un terzo. Questo perché gli imputati preferiscono “rischiare” e andare incontro, quasi con certezza, alla prescrizione.

La domanda a questo punto è spontanea: ma allora perché esiste la prescrizione? Si dice che esiste perché dopo anni e anni lo Stato non è disponibile a spendere ancora denaro per fare andare avanti i processi, a spese del cittadino, ed è venuto meno anche l’interesse delle vittime. Ma, comunque, nel nostro Paese pare che i reati si prescrivano anche quando sono già stati individuati gli imputati. E, ancor peggio, si prescrivono in tutti i gradi di giudizio: Tribunale, Corte d’Appello e Cassazione. Questo, al contrario, è il vero sperpero di denaro del contribuente.

Visto che la Germania è sempre utilizzata come metro di paragone – vedi lo spread -, proviamo a farlo anche in questo caso. Senza riportare il corpus riguardante la prescrizione, vorrei focalizzare l’attenzione sull’interruzione della stessa. Il codice penale tedesco prevede l’interruzione della prescrizione nei casi tipici dell’azione dell’autorità giudiziaria, come gli interrogatori, gli incarichi ai periti, sequestri e perquisizioni, ordini di arresto, fissazione di udienza ecc. Però, e questo è il bello, dopo ciascuna interruzione, la prescrizione ricomincia a decorrere dall’inizio. La perseguibilità, invece, è prescritta quando sia trascorso il doppio del termine legale di prescrizione.

In Italia, la legge stabilisce quanto è il tempo massimo perché un reato si prescriva. Ad esempio, per il reato di corruzione di un testimone, reato ricostruito dalla Cassazione con la sentenza Mills, il tempo massimo era 10 anni. Fino al 2005 il tempo per la prescrizione era 15 anni, abbattuti poi dalla legge ex Cirielli – legge ad personam -, detta anche legge salva-Previti, e di cui ha beneficiato anche Silvio Berlusconi in altre quattro occasioni.

La prescrizione, dunque, così com’è strutturata nel nostro Paese, non è affatto condivisibile. Anzi, quasi non dovrebbe esistere. Proviamo ad immaginare quegli imputati che, rifiutando il patteggiamento o il rito abbreviato, seppur conveniente quando si è colpevoli, si appellano alla speranza, per la maggior parte delle volte fondata, di usufruire della prescrizione. Perché mai dovrebbero acconsentire di finire nelle patrie galere? Quando la possibilità concreta è l’impunità. Quindi i riti alternativi hanno davvero un valore se, e soltanto se, una buona, e soprattutto imparziale riforma della giustizia, riduca drasticamente la prescrizione. Allora sì, per l’imputato colpevole è molto più conveniente patteggiare.

Ma le leggi le fanno i parlamentari. Certo, qualcuno può dire che li abbiamo votati noi. Giusta osservazione. Ma noi non votiamo persone che conosciamo, che ci sono vicine tutti i giorni, che sappiamo di poter fare affidamento su di loro. Eleggiamo persone suggerite, candidate dai partiti. In questo modo rischiamo di ridurre la democrazia a mera rappresentanza, anche se il voto è l’espressione per antonomasia della democrazia. Il cittadino dovrebbe avere maggiori possibilità di intervento nella vita del Paese, magari esprimendo le proprie idee e consensi attraverso la Rete. Il cittadino elegge i suoi rappresentanti, ma deve anche avere l’opportunità di decidere sul loro destino politico. Altrimenti si rischia che i rappresentanti rappresentino solo se stessi. Come in effetti sta avvenendo. Quanti cittadini si pensa siano favorevoli a questa favola della prescrizione? Ma come questa, anche in altri mille casi. Allora: se il cittadino può eleggere i suoi rappresentanti attraverso elezioni democratiche, perché, altrettanto democraticamente, non ha la possibilità di intervenire sui suoi eletti? (Art. 3, c. 2, Cost.).

Il nostro iter legislativo è abbastanza completo e garantisce il profilo democratico. Tuttavia credo che manchi un passaggio fondamentale. Nel suo cammino verso la promulgazione, la legge incontra diverse fasi, dalla proposta alle commissioni, dal voto nelle aule alla promulgazione da parte del Capo dello Stato. Il tassello mancante per il completamento del puzzle legislativo è rappresentato dallo studio delle nuove leggi ad opera di un’apposita commissione che ne valuti la costituzionalità. Solo come esempio voglio citare la legge ex Cirielli sopra menzionata. Potrebbe ravvisarvisi una violazione dell’Art. 3, c. 1 della Costituzione, dove si prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Si potrebbe obiettare che la ex Cirielli vale per tutta la comunità nazionale. È vero. Ma dimentichiamo che questa legge (ad personam) è stata approvata in un determinato contesto sociale e ha favorito, immediatamente, solo alcuni individui. Qui sta la disuguaglianza: una legge approvata per qualcuno. Che poi ne possano beneficiare anche altri è ininfluente. Se i parlamentari fanno le leggi, delle quali loro ne beneficiano nell’immediato, l’evidenza del loro vantaggio rispetto ai cittadini  è indiscutibile. Se una commissione per la costituzionalità delle leggi capisce, perché i fatti sono chiari, che una legge ha lo scopo di privilegiare parlamentari, deve respingerla immediatamente, ancorché sia utile per pochi altri cittadini. È mai stata fatta una legge che ha favorito da una a dieci persone comuni e di cui si è parlato, criticandola aspramente, su tutti i media? Dunque, il principio che ne esce è che la norma deve avere un valore collettivo (per tutti i circa 60 milioni di abitanti italiani) e non per pochi “eletti”.

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