Cronaca dal Brasile

Pubblicato il 20 Giu 2013 - 8:48pm di Redazione

Caro Balotelli… dal Brasile ti scrivo

BrasileApplaudito in piedi. Per un atleta di quel livello forse è anche normale, ma oggi è un’altra cosa. Non siamo a Milano, ma a Rio de Janeiro, e lo stadio è il Maracanã. Dice la leggenda che per la finale dei mondiali del 1950 ospitò duecentomila persone, il più grande stadio del mondo. Pelé, Zico, Socrates… e decine di altri mostri, hanno lasciato la loro indelebile impronta su quell’erba. Oggi tocca a lui, il suo nome osannato dai tifosi, Balotelli Balotelli!

Apro la mia posta elettronica e trovo il messaggio di un amico. Scrive da lontano, da una simpatica città emiliana. È preoccupato da quello che legge sugli scontri a São Paulo. Entro in qualche sito italiano ed effettivamente trovo solo questo tipo di notizia. La manifestazione, invece, è stata una tra le più pacifiche ed allegre della storia. Alle cinque del pomeriggio, l’ora fissata per l’inizio, il comunicato ufficiale divulgato dalla stampa, che ripeteva pari pari quello rilasciato dalla polizia, annunciava duemila persone. Ebbene, ce n’erano centomila! Forse più. Ma questo non ha nessuna importanza. Perché centomila c’erano anche a Rio, a Salvador, a Fortaleza, a Belo Horizonte, a Brasilia e in altre quaranta città. Dico centomila, potrei dire un milione, un miliardo, non importa. Il paese intero era in piazza, da nord a sud, da est a ovest. Il motivo è nato qui a São Paulo, in seguito all’aumento di venti centesimi del biglietto dell’autobus. Un gruppo di studenti, qualche centinaio, occupa l’Avenida Paulista, la strada principale. Arriva il battaglione anti sommossa, e comincia il massacro. Due giorni dopo, davanti al comune, di persone ce ne sono venti volte di più.

Il muscoloso Balotelli, in seguito al cartellino giallo per aver esposto i muscoli, dice che non sapeva la storia delle ammonizioni, che se vieni ammonito in due partite di seguito, non puoi giocare la terza. Sicuramente non sa neanche cosa è successo allo stadio che lo ha applaudito. Glielo racconto io in due parole: la Fifa ha imposto che venisse ristrutturato seguendo le direttive e le norme da lei imposte. Il Brasile ha prontamente ubbidito, e non solo a Rio, ma in tutte le altre città che ospiteranno le partite dei prossimi mondiali. Il costo dei lavori stipulato in preventivo dai vari governi, federale, statale e municipale è stato, supponiamo, di cento. Hanno speso mille! Dieci volte di più. A Brasilia, la capitale, ad esempio, è stato costruito ex novo uno stadio modernissimo per ottantamila persone. E Brasilia non ha nemmeno una squadra di calcio!

Il governatore e il sindaco, mentre i ragazzi venivano bastonati nell’Avenda Paulista erano a Parigi…, sì Paris, uh lá lá. Insieme al vice presidente della repubblica. Un enorme salone con vista sulla Torre, la meravigliosa Daniela Mercury a fare da colonna sonora,  pranzo di gala offerto alle autorità locali e alla commissione che in novembre deciderà dove si svolgerà la Expó 2020, l’esposizione universale, quella per la quale tanti anni fa venne costruita la famosa Torre che oggi si vede, appunto, dalla finestra del salone, dove il sindaco, il governatore e il vicepresidente cercano di convincere il mondo che la città di São Paulo è il posto ideale: abbiamo tutto pronto, venite, venite, guardate i nostri stadi, guardate com’è bella Daniela Mercury, venite da noi, scegliete noi, che faremo un preventivo di cento , vi faremo guadagnare mille!

Dicevo che due giorni dopo sotto le finestre del sindaco, che era a Parigi, di persone ce n’erano almeno ventimila. E stavolta non solamente studenti. Ma il governatore, da Parigi, avverte: non si può tollerare che un gruppetto di manifestanti esagitati blocchi l’Avenida Paulista, bisogna garantire il diritto di ir e vir, di andare e venire (senza però ricordarsi che l’avenida in questione è costantemente bloccata dal suo stesso traffico giorno e notte), dà ordine al battaglione anti sommossa di agire con il massimo rigore. Detto fatto. La città si trasforma in un campo di battaglia. Centinaia di feriti, lacrimogeni, bombe, pestaggi ai giornalisti colpevoli di fotografare la verità. I telegiornali, che normalmente stigmatizzano ogni disturbo all’ordine costituito, stavolta fanno vedere i loro reporter sdraiati per terra sanguinanti, bastonati da una polizia con la bava alla bocca. Tipo Bolzaneto, la scuola Diaz, Piazza Alimonda.

La gente cerca di rifugiarsi nelle strade limitrofe, la caccia all’uomo è implacabile. Sotto casa mia, una strada insignificante e lontana tre chilometri dai fatti, arriva il battaglione e una decina di macchine per inseguire una quarantina di ragazzi disperati. I gas dei lacrimogeni salgono fino al diciannovesimo piano, in camera mia. Vado sul balcone e urlo un paio di insulti che non ascolta nessuno. Qualche giorno prima, la sentinella del palazzo di giustizia, blocca un manifestante colpevole di scrivere sul muro con lo spray. Una pietra colpisce il soldato alla testa che tramortito sanguina copiosamente. La folla grida. Lui, isolato e circondato, tira fuori la pistola, prende la mira, un gruppo lo circonda e lo protegge dal linciaggio accompagnandolo al sicuro. Non ha sparato! Non oso nemmeno pensare a quello che sarebbe successo. I ragazzi che lo hanno protetto dal linciaggio meriterebbero una medaglia.

Balotelli non lo sa, glielo racconto io: oltre a costruire ex novo nuovi stadi che poi dovranno demolire dopo due settimane, per non saperne cosa fare, il paese si è piegato alle esigenze della Fifa accentando le norme da lei dettate, non solo dentro gli stadi, ma anche fuori, a chilometri da lì. I negozi, ad esempio, potranno vendere solamente i prodotti dei patrocinatori ufficiali. Per non parlare dello sventramento di interi quartiere par far posto alle vie di accesso. Migliaia di persone sloggiate in pochi giorni, ore, dallo stesso battaglione che sparava i gas sotto casa mia. Caro Balotelli, immagina le ruspe che ti buttano giù la casa, con te dentro!

Sindaco e governatore da Parigi assistono al massacro (a dir la verità sono già tornati, ma mi piace pensarli con un bicchiere di champagne in mano, uh lá lá). La polizia ha agito nel pieno rispetto della legge, dice il comunicato ufficiale. Stavolta però tutto il Brasile ha visto la signora colpita da una pallottola di gomma mentre usciva dalla chiesa dopo la messa di Sant’Antonio! Ha visto quel vecchietto svenuto dentro la sua macchina  invasa dai gas, ha visto la giornalista colpita agli occhi, ha visto i pestaggi a sangue di chiunque venisse a tiro. Il paese intero ha visto. E ha deciso di dire basta. Anche se la manifestazione di ieri sera era organizzata con il proposito di revocare l’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus, il Brasile intero ha voluto dire basta: basta alla violenza, alla corruzione, all’inefficienza. Qualche striscione: “Siamo stanchi di pane e circo”, “Vogliamo gli ospedali modello Fifa, vogliamo le scuole modello Fifa, vogliamo i trasporti modello Fifa”.

Caro Balotelli, sicuramente non ti immagini neanche come siano i nostri ospedali e nemmeno puoi farti una idea delle nostre scuole. Magari pensi che quando hai voglia di andare a Rio prendi una bella Freccia Rossa… No, caro mio, il treno non c’è. Perché non c’è la ferrovia. A Rio, se ti voglio vedere giocare al Maracanã, devo andarci in corriera o in aereo. E così in ogni città! Anzi peggio. Perché São Paulo è la città più ricca, che forse ospiterà pure l’uh lá lá dell’Expó 2020.

A Rio sono centomila o forse più. Un poliziotto in borghese spara. La folla reagisce prendendo d’assalto il palazzo comunale. È battaglia. A Brasilia la gente sale sul tetto del parlamento, monumento nazionale uscito da un sogno di Oscar Niemayer e oggi sede e simbolo di ogni malaffare. A Belo Horizonte, la gente punta diretto allo stadio, ma c’è la partita Nigeria-Tahiti. La Fifa ordina, la polizia spara. Qualche giorno fa, stadio di Brasilia, partita inaugurale. Tra i presenti Joseph Blatter e la presidente Dilma. Una valanga di fischi interrompe i discorsi ufficiali e Dilma si limita a dichiarare aperta la Confederetion Cup 2013, e giù fischi. Vince il Brasile 3 a zero.

BrasileLa manifestazione di ieri sera è stata qualcosa di incredibile. Organizzata via Facebook da un gruppo di ragazzi coinvolge la città intera. Per avere un’idea delle dimensioni: Google Maps, guardiamo le distanze tra il punto di inizio in Largo da Batata, fino all’Avenida Paulista. Arriviamo a Ponte Estaiada passando per l’Avenida Faria Lima e la Marginal Pinheiros, poi giriamo a destra e andiamo in direzione al Palácio do Governo. Chilometri e chilometri di gente, chilometri e chilometri di gente fino a notte fonda, fino adesso, che sono le dieci del mattino. E oggi pomeriggio alle cinque ci si ritrova tutti in Praça da Sé, la piazza centrale e si ricomincia d’accapo.

Caro Balotelli, sabato Brasile-Italia sarà una bella partita. Spero che di tutto quello che succede nel nostro paese ti sia arrivata l’eco. Anche perché l’altro giorno durante la partita, davanti al Maracanã c’era una bella manifestazione con tanto di lacrimogeni e proiettili di gomma. Magari non l’hai saputo neanche, eri troppo occupato a far vedere i tuoi super muscoli.

Tra gli striscioni e i cartelli di tutto il paese ne scelgo uno: “Verás que um filho teu não foge à luta”. E adesso una domanda: chi in Italia durate una manifestazione canta l’inno nazionale? Ebbene, ieri sera  lo si sentiva dappertutto, veniva cantato spontaneamente da tutti, dalle enormi strade di São Paulo, ai pittoreschi vicoli di Salvador, dalle spiagge di Fortaleza, al tetto del parlamento, dove la gente simbolicamente riprendeva il possesso della nazione. È un inno molto bello: parla delle meraviglie del paese, del cielo azzurro, della foresta, delle cascate. Alla fine dice: “ma al sollevare lo scettro della giustizia, vedrai che un figlio tuo non fugge alla lotta…” È proprio vero. Un filho teu não foge à luta. Viva o Brasil!

di Paolo D’Aprile ed Edith Moniz

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