Immunità parlamentari: una vergogna

Pubblicato il 17 Giu 2013 - 12:14am di Redazione

Personaggi in cerca d’autore che entrano in politica solo per godere delle immunità parlamentari

parlamentariFinalmente il primo passo è stato fatto. Fra disaccordi fra i partiti e rinvii, da questo mese abbiamo la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari al Senato, presieduta da Dario Stefàno, rappresentante di SEL. Era ora! E adesso al lavoro. Si spera. Perché una delle realtà di questa Italia è quella di personaggi che si fanno eleggere per godere delle immunità parlamentari.

La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari  è un organismo formato da ventitré senatori, il cui compito è duplice: valutare l’eventuale ineleggibilità o incompatibilità con la carica di senatore, e pronunciarsi sulle richieste di autorizzazione all’arresto dei senatori stessi. Questa è sempre stata una materia di scontro, ma non fra politici, quasi tutti concordi della sua esistenza e soprattutto utilità, ma tra i cittadini e i partiti, perché la gente non capisce, giustamente, questa specie di salvacondotto dei parlamentari, che crea anche discriminazione nei confronti degli italiani stessi.

Rivediamo un paio di articoli della Costituzione: l’articolo 3 recita la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge; l’articolo 68, riformato con legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, afferma che i parlamentari, innanzitutto, non possono rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre, si stabilisce che senza autorizzazione della Camera cui appartiene, il parlamentare non può essere sottoposto a perquisizione, personale o domiciliare, né può essere arrestato o privato della libertà personale o posto in detenzione, salvo il caso di una sentenza di condanna irrevocabile oppure colto in flagranza di reato per il quale è previsto l’arresto. Lo stesso dicasi per le intercettazioni e il sequestro della corrispondenza.

Dunque abbiamo due situazioni contrastanti, contraddittorie. Da una parte si dice che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, dall’altra si dice che i parlamentari non possono essere arrestati in quelle situazioni dove il cittadino, invece, lo sarebbe. È un ragionamento, un paragone molto semplicistico, dove non servono pagine e pagine di parole, magari della Corte Costituzionale, per dimostrare che non è così. A noi non fa alcun effetto un parere autorevole, complesso, articolato, tanto meno in politichese, per convincerci che i due articoli costituzionali sono in sintonia, sono equilibrati. Come non ci interessa sentirci dire che, al contrario, il dettato dell’articolo 68 è un segno di democrazia. Non lo è, punto e basta. L’unico punto condivisibile dell’articolo 68 è la tutela del voto dato nell’esercizio delle funzioni parlamentari. Mentre, per quanto riguarda l’espressione delle loro opinioni, vanno salvaguardate quelle prettamente politiche e condannate le affermazioni che diffamano, ingiuriano o che sono lesive dei diritti altrui. Nello specifico i diritti dei cittadini e dello Stato italiano. Basti ricordare il tempo in cui Bossi voleva marciare su Roma ladrona. Ci sono affermazioni che nessuno si deve poter permettere di fare, parlamentari o no, perché se certe “battute” le esprime un qualsiasi cittadino si ritrova in tribunale, con a carico un risarcimento da esborsare.

Con la citata legge costituzionale 3/1993 si sono modificate alcune parti dell’articolo 68 della Costituzione, in meglio. Ossia, mentre il testo originale prevedeva che il parlamentare non potesse essere arrestato in nessuna occasione senza l’autorizzazione della Camera, con la modifica lo stesso può essere arrestato in conseguenza di una sentenza di condanna irrevocabile. L’assurdo è che ora si cerca di ristabilire quello che si era escluso. Infatti, nello scorso marzo, il deputato Pdl Raffaello Vignali deposita una proposta di legge per la modifica dell’articolo 68 della Costituzione. L’obiettivo è ristabilire la versione originale dell’articolo modificato con la legge citata, quindi tutelare nuovamente i parlamentari che non potranno essere sottoposti a procedimento penale senza l’autorizzazione delle Camere.

Il motivo? Molto semplice, almeno per Vignali: “Bisogna ristabilire nella Costituzione il dettato approvato dall’Assemblea costituente”. Ricorda il deputato, inoltre, che “le immunità parlamentari, a partire dalla Rivoluzione francese, sono l’espressione della lotta per la sovranità popolare”, e ribadisce che il parlamento “non può essere sottoposto ad alcun altro potere che quello del parlamento, cioè del popolo stesso”. Tutto ciò, ovviamente, “non per difendere un privilegio, ma per garantire la forma e la sostanza della democrazia”.

Questo proposito di riforma non merita alcun approfondimento o commento. Insomma, nessuna attenzione. Solo un’osservazione: certamente la nostra è una Repubblica democratica dove la sovranità appartiene al popolo – come recita l’articolo 1 della Costituzione italiana. È un principio, anche se non rispetta la piena validità, su cui si fonda il nostro Paese. Il popolo esercita la propria sovranità attraverso la democrazia rappresentativa, quindi la sovranità dei parlamentari eletti con regolare elezione. La vera sovranità democratica del popolo può avvenire solo in un sistema di democrazia diretta che, a parere di chi scrive, rappresenta un’utopia. Perché se il potere fosse davvero del popolo, la proposta del deputato Vignali sarebbe carta straccia e lo stesso non siederebbe più sugli scranni dell’emiciclo.

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3 Commenti finora. Sentitevi liberi di unirsi a questa conversazione.

  1. alessandro balugani 17 Giugno 2013 at 17:03 - Reply

    sono d’accordo fino a un certo punto,per esempio il testo quando dice:” il dettato dell’articolo 68 è un segno di democrazia. Non lo è, punto e basta”. Quel punto è basta ha un tono perentorio che è così,dato da chissà chi crede di avere la verità in tasca…. la realtà è che l’articolo 68 ha un altro spirito è cioè quello di preservare le minoranze politiche,i nostri padri costituenti l’hanno messo con quello spirito,è la nostra classe dirigente che lo interpreta come una licenza a delinquere.esempio:se un deputato si fa carico di una manifestazione che blocca una ferrovia,quello è un atto politico,ed è giusto che non sia perseguibile,stessa cosa(anche se non mi piace) è per l’esempio di unberto bossi(volutamente in minuscolo)che fin quando dice di voler fare la marcia su roma è un atto politico mentre se lo fa,può essere fermato per attentato allo stato oppure alto tradimento(cosa che potrebbe colpire anche il presidente della repubblica) oppure pensiamo a un comizio,quante frasi contro un avversario politico potrebbero essere oggetto di querele e denunce…. l’immunità parlamentare per i reati politici “DEVE ESISTERE”.quello che posso dire è che i padri costituenti,fidandosi troppo della dignità delle generazioni politiche future non specificando che per i reati politici bisogna chiedere l’autorizzazione a procedere al parlamento,mentre per i reati comuni non ci deve essere nessuna distinzione tra un “onorevole”(di cosa non l’ho capito) e un cittadino comune…

  2. alessandro balugani 17 Giugno 2013 at 17:29 - Reply

    aggiungo che,non sono i 2 articoli della costituzione ad andare in contrasto tra di loro ma è la mancanza di etica che i padri costituenti forse davano per scontata che li rende disarmonici…. quindi pur condividendo lo spirito dell’articolo credo che non si sia fatta una valutazione partendo da diversi punti di vista per avere una visione più ampia ma da uno solo,preso come verità assoluta,se si dovesse modificare la costituzione non considerando un progetto di larga condivisibilità la si storpierebbe

  3. Alberto Bonfigli 17 Giugno 2013 at 19:46 - Reply

    Ciao Alessandro, scusa se metto in campo la possibilità di darci del tu; spero tu sia d’accordo su un rapporto meno formale. Innanzitutto ti ringrazio per il commento. Sia perché ciò che ho scritto ha fatto nascere questa discussione, sia perché penso che dal confronto possano nascere le cose migliori. Mi trova d’accordo l’appunto che hai fatto sulla mia affermazione del “Punto e basta!”, e cioè che poteva essere scambiata per una sentenza data da un essere che si crede superiore, di qualcuno che crede di avere, come dici, la verità in tasca. Ovviamente, almeno per me, non è così. Infatti, la mia <> e stata la parte conclusiva di una serie di osservazioni su chi – i parlamentari o istituzioni varie -, con varie tecniche, afferma che invece la democrazia è rispettata. Quindi, quel <> era solo uno stop, da cittadino arrabbiato, a tutto quello che ci propinano con il loro politichese, che comprendono solo loro. Dalle mie parti c’è un detto, che in verità non sento da qualche anno. Una specie di proverbio che non penso sia peculiare della storia locale della mia zona, ma che, probabilmente, è a livello nazionale, dato che non è pronunciato nemmeno in dialetto, ma nella nostra lingua ufficiale. E questo la dice lunga. L’articolo 68, al suo primo comma, pone la questione della cosiddetta <>, ovvero i parlamentari non possono rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Il costituente ha voluto salvaguardare la piena libertà di espressione del parlamentare, senza i condizionamenti che potrebbero derivare dal fatto di dovere in futuro rendere conto, in sede penale, civile o disciplinare, della propria attività in parlamento. Più che giusto. Ma solo alla condizione che il parlamentare esprima opinioni esclusivamente politiche, in un clima politico sereno o anche turbato, ma che non ecceda andando fuori dalle righe. Se il parlamentare, nell’esercizio delle sue funzioni, come è accaduto, istiga la popolazione a non pagare le tasse, questo è un reato. E ne deve rispondere. Perché l’insindacabilità protegge l’attività parlamentare, e non anche i reati commessi nell’esercizio delle funzioni. Perché se l’insindacabilità, al pari delle immunità, proteggessero i reati, intesi in senso lato, allora ci sarebbe davvero da ridere. Quanto alle immunità, il secondo comma dell’articolo 68 prevede la garanzia dell’inviolabilità, con lo scopo di evitare che attraverso pretestuosi atti giudiziari nei confronti dei singoli parlamentari, si possa turbare la libera esplicazione del loro ufficio e, nei casi più gravi, si venga ad incidere sulla stessa composizione dell’Assemblea. Dunque un articolo che ha la presunzione di proteggere il potere esecutivo e legislativo dal potere giudiziario. Se la magistratura abusa delle proprie prerogative ci sarà un organo superiore che provvederà al ripristino della legalità. Che a ben vedere non mi pare che i magistrati facciano piazza pulita di tutti i parlamentari, indistintamente. Il caso di Silvio Berlusconi andrebbe discusso a parte e più a fondo. E comunque, insieme a tutti gli altri casi, che non sono molti, mi pare che sia piuttosto il potere esecutivo e legislativo a contrastare il lavoro della magistratura. Se poi, come affermi, lo stravolgimento delle immunità parlamentari è opera delle classi dirigenti, e questo è il dato di fatto, allora è giusto togliere questa possibilità ai politici per far sì che non ne abusino. Gli esempi che porti, quello del blocco dei treni e di Bossi per la marcia su Roma, li riconduci ad atti politici e quindi non censurabili. Dare una definizione di atto politico è cosa assai ardua, a meno che non si intenda una qualsiasi azione fatta da un politico. Ma comunque si può intendere che l’atto politico è sottratto al controllo della legittimità, e quindi le amministrazioni, i parlamentari, ne rispondono solo in sede politica. E non penale o civile. Quindi una ulteriore garanzia. Non si può permettere che il parlamentare faccia il bello e cattivo tempo in nome dell’atto politico. E al proposito riprendo un modo di dire assai pericoloso che si pronunciava un bel po’ di anni fa, e che non ho più avuto occasione di ascoltare nuovamente. Per fortuna. Così si diceva: <>. Mi auguro che oggi <> non sia ammesso in nessun modo. Sempre riferito agli esempi citati, se il politico blocca un treno commette sicuramente un reato – forse <<Interruzione di pubblico servizio -, e quando Bossi incita alla marcia su Roma, commette il reato di istigazione alla violenza. Che non devono essere coperti dal principio dell’atto politico. Non penso che i Padri Costituenti, nella redazione di queste regole, abbiano pensato anche a quei comportamenti che ledono i diritti altrui. Ora, una classe politica seria, non deve avere bisogno delle varie tutele, ma, consapevolmente, conscia del mandato cui è chiamata, dovrebbe autolimitarsi, senza più trasgredire continuamente e, inoltre, evitare di finire su tutti i tg del mondo perché in aula si fa a botte. Teniamo conto che i nostri parlamentari, per fare anche di queste cose, sono profumatamente pagati. E non voglio tenere conto dei vari privilegi, benefit, rimborsi e quant’altro la fantasia umana partorisce. Morale della favola: qualunque atteggiamento che comporti un reato punito dalla legge, commesso da un rappresentante del popolo o da un cittadino qualsiasi, deve essere perseguito nei modi e termini indicati dalla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
    Caro Alessandro, torno a ringraziarti per il tuo intervento, e spero che possa ripetersi anche in futuro.
    Un cordiale saluto.
    Alberto Bonfigli

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