Turchia: non è un complotto di Israele

Pubblicato il 19 Giu 2013 - 5:32pm di Redazione

La rivolta in Turchia e il ruolo di Qatar-Arabia Saudita nella regione. La “linea rossa” di Putin

TurchiaLa ‘rivolta’ in Turchia è iniziata per protestare contro l’abbattimento di alcune centinaia di alberi nella piazza centrale di Istanbul al fine di costruirvi un grande centro commerciale, finanziato soprattutto da capitali provenienti dal Qatar. Bisogna tenere in mente questo dato, e dell’entusiasmo con cui a Damasco sono state accolte le notizie di quanto sta accadendo in Turchia, per comprendere la genesi degli avvenimenti, nonché i loro sviluppi successivi e futuri. Il Qatar è oggi uno dei principali alleati di Erdogan nel mondo arabo, nello sforzo di abbattere il regime siriano di Assad.

L’alleanza con il Qatar soppianta in molti modi, anche se non tutti, quella con Israele, sempre sostenuta dai militari che Erdogan è, per il momento, riuscito a porre sotto controllo. Quei militari ataturkiani che per decenni hanno garantito la laicità del paese, ma anche una democrazia limitata, soprattutto nei confronti di islamici, curdi e diritti umani. Il Qatar è stata una delle forze chiave dietro le cosiddette ‘primavere arabe’ e soprattutto, insieme alla Francia di Sarkozy, uno dei principali responsabili dell’armamento dei ribelli e della caduta e assassinio del leader Muhammar Qaddafy. Adesso il suo obiettivo è il regime siriano.

Perché? Perché lo scacchiere mediorientale è oggi teatro di una guerra senza quartiere da parte di due schieramenti per il controllo della regione e delle sue ricchezze strategiche ed economiche: Iran-Siria da una parte e Qatar-Arabia Saudita dall’altra. Il fronte Iran-Siria è appoggiato dalla Russia, che sta fornendo a Damasco i missili antiaerei a lunga gittata S-300, mentre L’Iran arma la Siria e gli Hezbollah con i nuovi missili terra-aria a medio raggio Fateh-110 per garantire una forza di dissuasione e minaccia contro Gerusalemme. L’Occidente, in alcune sue componenti, parteggia per Qatar-Arabia Saudita. Lo scontro è emerso, sia pure appena in superficie, durante il G8 di ieri quando il presidente russo Vladimir Putin ha imposto il veto a qualsiasi seria condanna della Siria, mentre gli Stati Uniti sembrano prepararsi a una no-fly-zone nei cieli siriani, per proteggere Israele ed evitare una ritorsione massiccia da parte dello stato ebraico che potrebbe preludere ad una nuova guerra in Medio Oriente.

La posizione di Putin va tenuta d’occhio con grande attenzione, in quanto appare come la ‘linea rossa’ tracciata dal presidente russo che l’Occidente non può superare nella crisi siriana. Soprattutto dopo che Obama ha accusato Damasco dell’uso, sia pure sporadico, di armi chimiche, vale a dire la ‘linea verde‘, superata la quale si apre l’ipotesi di un intervento. Mosca si era mantenuta nelle retrovie durante le crisi irachena e libica, ma adesso appare pronta per una posizione più ferma.

Gli Hezbollah che rappresentano la principale minaccia “terroristica” per Israele, appoggiano la repressione della rivolta a fianco dell’esercito di Assad il quale, in cambio, fa passare sul suo territorio i missili iraniani.

Questo quadro serve a comprendere le accuse, non troppo velate, di Erdogan contro Israele che starebbe dietro alla ‘rivolta’ di Gezi Park. E mentre si attende l’annunciata visita di Erdogan a Gaza, il premier turco ha ricevuto ieri ad Ankara i principali esponenti di Hamas. La stampa turca specula che la visita di Khaled Mahashal e Ismail Hanniyeh abbia avuto l’obiettivo di chiedere alla Turchia un contributo per dirimere le differenze strategiche in seno ad Hamas, dove alcuni settori vorrebbero un avvicinamento a Qatar-Arabia Saudita.  Ciò assume particolare interesse se si tiene presente che il movimento islamico palestinese di Hamas e il gruppo sciita libanese di  Hezbollah, sono stati per venti anni uniti in una ‘santa alleanza’, nel cosiddetto ‘asse di sfida’ contro Israele, guidato da Iran e Siria, in opposizione all’ ‘asse moderato’ guidato da Arabia Saudita, Egitto e Giordania.

Con le cosiddette  ‘primavere arabe’ si sono formati due nuovi schieramenti : ‘l’asse sunnita’, guidato da Arabia Saudita, Egitto, Qatar e Turchia in cui si riconosce Hamas, e un ‘asse sciita’, formato da Iran e Siria, in cui si ritrovano gli Hezbollah. Questa situazione ha posto fine alla ‘santa allenza’ e ora Hamas ha energicamente invitato Hezbollah a ritirare i suoi miliziani che reprimono la rivolta siriana al fianco di Assad , e a concentrarsi invece nella lotta contro Israele. È chiaro che  il ruolo di Erdogan potrebbe essere esiziale per una riappacificazione, molto difficile invero, fra Hamas e Hezbollah, o comunque per un assestamento dell’asse tattico politico-militare, che significherebbe un fronte più compatto contro Israele e, al tempo stesso, un’escalation negativa nei rapporti fra Ankara e Gerusalemme.

Questa possibile escalation sembrerebbe aver cominciato a materializzarsi  nelle parole di Erdogan che ha recentemente lasciato intravvedere la mano ebraica nel ‘complotto’ che avrebbe scatenato i moti di Gezi Park. E questo alla vigilia della visita di Hamas. Ma se è vero che Israele non può vedere di buon occhio una mutazione importante nello scacchiere mediorientale di cui sarebbe fautore Erdogan, è pur vero che il governo israeliano ha mantenuto una posizione di estrema prudenza rispetto ai moti turchi. E ha lasciato alla American Jewish Committee (Ajc)  denunciare i commenti di Erdogan come vera e propria benzina sul fuoco. ‘’Le parole incendiarie hanno conseguenze’’ ha avvertito il direttore esecutivo dell’Ajc, David Harris, che ha invitato i leader politici turchi e i media a mettere fine ‘’alle fantasiose teorie cospiratorie’’ per i disordini ‘’di origine interna’’.

Israele guarda con estrema attenzione a ciò che sta accadendo in Turchia, dove finora Erdogan ha, malgrado tutto, mostrato grande moderazione. Neppure una pallottola vera è stata sparata dalla polizia contro i dimostranti, nell’unica vera democrazia che esiste in una regione in cui repressioni assai più sanguinose sono in atto in Siria, come già in Libia ed Egitto.Né la recente elezione di Rohani in Iran può lasciar sperare troppo in cambiamenti importanti a breve, almeno sin quando la Guida Suprema della Rivoluzione resterà Ali Khamenei. E questo mentre il ruolo di Teheran nella soluzione della crisi siriana, e quindi nella rimozione di un’importante mina contro la pace nella regione, appare vitale. E dovrebbe forse, d’altra parte, rammentare Erdogan che se la rivolta dovesse continuare ed estendersi in Turchia, ed egli fosse costretto a far ricorso all’esercito, che i militari sono ancora fedeli ad Ataturk e più vicini tendenzialmente a Israele che non  agli ayatollah o agli emiri integralisti.

 

Info sull'Autore

Lascia Una Risposta