Rotazione delle colture: perché funziona?

Pubblicato il 17 Ago 2013 - 9:00pm di Redazione

Incentivare la rotazione delle colture potrebbe essere la chiave per migliorare l’agricoltura, con piante più sane, più resistenti a patogeni e malattie e un aumento nella produttività

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Cosa c’è alla base (o meglio, alle radici) dell’efficacia della rotazione delle colture? Batteri, funghi e protozoi. Non deve stupire, dunque, che questa tecnica sia stata utilizzata sin dai tempi degli antichi Romani per migliorare la nutrizione delle piante, e tenere sotto controllo la diffusione di patogeni e malattie.

Il numero di organismi benefici presenti nel suolo, come spiegato dal nuovo studio pubblicato sull’ISME Journal della rivista Nature, si accresce di molto con la rotazione delle specie vegetali, portando con sé anche un aumento nel rendimento stesso delle colture. Gli effetti positivi non sono, dunque, limitati a un miglioramento nella qualità delle coltivazioni, ma toccano anche l’economia, come ha spiegato la ricerca che si è svolta in collaborazione tra la University of East Anglia e il Genome Analysis Centre of Norwich Research Park.

Phil Poole del John Innes Centre e i colleghi hanno prelevato dei campioni di terreno vicino a Norwich, nell’est dell’Inghilterra, e li hanno seminati con grano, avena e poi piselli. Dopo la prima semina di grano, la composizione del suolo è rimasta quasi invariata, con una netta predominanza di batteri nel terreno, e una presenza di altri organismi come funghi e nematodi limitata a circa il 3%. La percentuale di questi ultimi è invece aumentata sensibilmente, fino al 15%, in seguito alla rotazione con piante d’avena e piselli, con grande crescita, dunque, non solamente nella popolazione batterica, ma anche in quella di organismi eucarioti.

Questa nuova ricerca ha fornito il primo quadro completo della popolazione batterica realmente attiva in un campione di suolo, grazie a un approccio innovativo. Diversamente dagli studi precedenti, che si erano concentrati su un gruppo tassonomico alla volta basandosi sull’amplificazione di campioni di DNA, stavolta i ricercatori hanno analizzato l’RNA, riuscendo a identificare solo quegli organismi che svolgevano effettivamente un ruolo nella nutrizione delle piante. Ogni grammo di suolo contiene infatti circa 50.000 microorganismi solo tra i batteri, molti dei quali non svolgono un ruolo attivo e sarebbero stati irrilevanti ai fini della ricerca.

Affinché le colture crescano nelle condizioni nutrizionali più favorevoli, e vengano preservate le proprietà del terreno, ai semi migliori vanno dunque abbinate le pratiche agricole più benefiche. Tra le varie possibilità, c’è anche quella di inoculare i batteri direttamente nei semi prima che questi vengano piantati, lo stesso principio per il quale noi assumiamo i fermenti lattici e i probiotici in genere, i cosiddetti “batteri buoni”.  Questo accorgimento, tuttavia, non porterebbe a una ricchezza in microorganismi paragonabile a quella che si ottiene con la rotazione delle colture. Gli scienziati hanno, inoltre, selezionato una varietà di avena che produce una minor quantità di avenacina, un composto che protegge le radici dai patogeni fungini, scoprendo con sorpresa che la conseguenza non era un aumento nelle popolazioni di funghi, bensì in quelle di protozoi. Questi risultati potrebbero essere sfruttati per selezionare piante che incoraggino lo sviluppo di microorganismi benefici del suolo, creando, ad esempio, simbiosi con i batteri fissatori di azoto, che in natura si associano solo con alcune specie, come i piselli, nutrendoli e arricchendo il terreno.

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