Recensione Dogman, film di Matteo Garrone sul “Canaro” in concorso a Cannes 2018

Pubblicato il 22 Mag 2018 - 1:47pm di Francesco Salvetti

La recensione del film “Dogman” di Matteo Garrone, nelle sale da giovedì 17 maggio 2018 e in concorso al Festival di Cannes. Marcello è un uomo esile che gestisce una toeletta per cani, dove li lava, cura e acconcia, riscontrando anche un certo successo. Tutti gli vogliono bene, dai suoi dirimpettai di negozio sino all’amore della figlia, tra questi c’è anche un omone che è eccessivamente presente nella sua vita: Simone, detto Simoncino. Il loro rapporto è un’amicizia sincera? O le cose prenderanno una via inaspettata?

Recensione di Dogman, film (2018) sul delitto del “Canaro”

I fatti che riguardano la figura del “Canaro” sono stati protagonisti nelle cronache di fine anni ’80. Il perché un uomo agisce in un certo modo è spesso una delle suggestioni che arriva a chi è un osservatore del quotidiano, come un artista. Lo è stato Sorrentino che ha cercato di capire, in “Loro 2”, quale fosse il motivo per cui Silvio Berlusconi si circondava di giovani donne con fini singolari. In questo caso per Garrone, non è soltanto una chiave dii lettura per il suo nuovo film, ma il momento di rialzarsi dalle ceneri. Nonostante la vittoria del David Di Donatello come miglior regista de “Il racconto dei racconti”, suo precedente film, ha ammesso la presenza di qualche errore che a posteriori non rifarebbe. Per questo su questa suo ultima fatica, gli occhi sono puntati e c’è una grande attesa.

Matteo Garrone torna al suo cinema, quello che lo ha reso uno dei più talentuosi registi italiani, grazie a un tema centrale tipico dei suoi film: la lotta per la sopravvivenza. Marcello non è necessariamente da identificare in “Er Canaro”, ma qualsiasi cittadino che cerca di farsi accettare, di vivere serenamente e essere inserito in una comunità che possa solo contraccambiare verso di lui tutto l’affetto che lui al contempo gli ripone. Ciò che emerge dal film è un forte senso di tenerezza dato da un bravo regista e un grande attore: ma cosa li unisce? Da un lato Matteo sceglie di mettersi la camera in spalla e riprendere da più punti di vista, per quasi il 90% del film, il suo protagonista; nei dialoghi con Simoncino non vediamo sempre il piano d’ascolto di Edoardo Pesce ma ne sentiamo quasi solo la voce, dato che è ripreso Marcello Fonte e i suoi grandi occhioni a cui il pubblico si affezionerà probabilmente già dopo 15 minuti. Dall’altro un altro protagonista esordiente, tipico del cinema di Garrone, che regala una prestazione sensazionale. Marcello Fonte, come il precedente Aniello Arena (“Reality” 2012), è un ragazzo che casualmente ha ottenuto un ruolo da protagonista nella compagnia teatrale che si esibiva durante l’occupazione al cinema Palazzo, a Roma. in quell’occasione, la direttrice Casting è entrata in contatto con questi attori che poi sono stati provinati. Tra questi è spiccato lui, Marcello, il Dogman del film.

Si dice che “sbagliando il cattivo sbagli il film”, fortunatamente ciò non è accaduto visto che Edoardo Pesce, offre un personaggio fisicamente irriconoscibile, dato sia da un ottimo comparto trucco che da uno sguardo e un linguaggio crudi e duri che fanno emergere una sensazione di fastidio che va oltre lo schermo e arriva allo spettatore, mettendolo anche lui, come gli altri negozianti del film, nelle condizioni di pensare se agire in maniera illegale per difendersi e cacciarlo. E’ un film da vedere e consigliato perché un racconto diretto egregiamente, dove ogni comparto tecnico esalta ogni sequenza: un prodotto del cinema italiano di cui essere fieri.

Info sull'Autore

Laureando in Ingegneria Gestionale presso l'università di Tor Vergata, da sempre appassionato di cinema e inviato per eventi cinematografici per Corretta Informazione.

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