Allevamenti intensivi: tutto quel che occorre sapere

Pubblicato il 14 Feb 2019 - 3:38pm di Emilia Abbo

Cerchiamo di comprendere la reale situazione degli allevamenti intensivi.

Un senso di considerazione per esseri più fragili e deboli, ed anche una capacità di immedesimazione nel dolore che provano, è la prima motivazione per cui si dovrebbero chiudere, o per lo meno rendere meno disumani, gli allevamenti intensivi. Anche se in Italia il consumo di carne sta progressivamente diminuendo (- 5, 8% già nel 2016) lo stesso non avviene invece a livello mondiale (tanto è vero che le statistiche della FAO parlano di 50 miliardi di animali uccisi ogni anno) e questo accade soprattutto per via della continua richiesta di prodotti animali da parte di paesi densamente popolati, come l’India e la Cina. Inoltre, si delinea un aumento nel consumo di pesce, sia per via di mode come i ristoranti giapponesi e sia perchè viene indicato come una preziosa fonte di grassi insaturi (omega 3 ed omega 6). Teniamo comunque conto del fatto che non tutti gli animali sacrificati vengono consumati, e che solo evitare gli sprechi equivarrebbe a salvare 59 milioni di mucche, 11 milioni di polli, 270 milioni di maiali (fonte: Animal Equality).

I bovini 

Le mucche sono forzate a produrre tantissimo latte, e con l’aggiunta di integrazioni a base di ormoni possono anche arrivare ad offrirne quaranta litri quotidiani, ovvero dieci volte tanto di quel che produrrebbero naturalmente. Il volume spropositato delle mammelle della mucca, nel 25 per cento dei casi, causa l’azzoppamento degli arti posteriori, che non sono in grado di reggere tanto peso. Sebbene la mucca sia un erbivoro (che può digerire anche le fibre), è sottoposta ad una dieta ricca di proteine, che consiste in farine animali che vengono unite a cereali. Con questo tipo di dieta l’animale non può ruminare, e quindi soffre di difficoltà digestive che la portano a far fuoriuscire il cibo dalla bocca. Ogni volta che questo avviene, non solo si denota mancanza di considerazione per la natura bovina, ma si provoca anche un impatto a livello ambientale. L’inquinamento dell’atmosfera e dei mari che è dovuto ai liquami provenienti dalle aziende agricole mette a rischio sia la salute dell’ uomo che la biodiversità delle specie acquatiche. Perfino ragioni umanitarie intervengono in questo ingranaggio, poichè il bisogno di appezzamenti per coltivare i cereali destinati agli allevamenti implica, oltre che l’abbattimento di alberi (un esempio è dato dalla foresta amazzonica) anche il monopolio di quegli spazi fertili (esattamente 33% di aree arabili) che potrebbero invece essere destinati ad 870 milioni di persone che soffrono di denutrizione nei paesi poveri. Per produrre un solo chilo di carne bovina, servono circa 15 Kg di mangime e 15.500 litri di acqua dolce! Un alibi diffuso per permettere tutto questo è quello della vitamina B12, poichè spesso il consumatore è convinto di poterla assumere soprattutto dalla carne rossa (fegato in particolare), senza invece tener conto del fatto che le mucche in allevamento intensivo generalmente non pascolano, e quindi non possono venir a contatto con quei batteri che fabbricano questo tipo di vitamina. Si pensa poi che anche la qualità delle proteine (e nello specifico degli amminoacidi essenziali)  sia migliore nella carne rispetto a fonti vegetali, e questo sarebbe senza dubbio vero se, oltre alle suddette proteine, nella carne non si trovassero anche quelle rimanenze di farmaci (ormoni, antibiotici, tranquillanti) che vengono solitamente aggiunti ai mangimi.  La carne biologica potrebbe in parte ovviare a questo inconveniente ma la sua diffusione (soprattutto per via dei costi maggiorati) è più limitata e quindi non alla stretta portata del consumatore medio. Inoltre,come vedremo più avanti, la carne bio non risparmierà comunque la sofferenza degli animali, destinati a nascere, vivere e morire soltanto in nome della produttività.

Ormai la pratica della mungitura si avvale di mezzi sempre più sofisticati per facilitare la vita degli allevatori (i quali sono sempre più restii ad assumere mungitori ‘manuali’, un lavoro che non sarebbe affatto in estinzione, anche considerando la crisi economica di questi tempi).  Tuttavia, questo non semplifica certamente  la vita della mucca, che può essere ferita dai tecnologici macchinari. La depurazione del latte è una questione complessa, poichè anche dopo la sterilizzazione (che è ancora più efficace della pastorizzazione)sono lo stesso consentiti per legge (in base alla direttiva europea 92/46/CE) un limite massimo di centomila germi per ML ed un limite massimo di 400 mila cellule somatiche per ML. Le ‘cellule somatiche’ sarebbero pus, ovvero quella secrezione biancastra mista a sangue che viene emessa a causa di un’infezione. In questo caso, il tipo di infiammazione batterica in questione è la mastite, una dolorosa patologia che colpisce le mammelle della mucca a causa dell’incessante produzione di latte.

Una crudele realtà che esiste fin dal 1854 è poi quella della ‘fistulazione’, che sarebbe la pratica di causare un foro nello stomaco della mucca per analizzarne – attraverso una cannula di plastica aperta sul dorso-le dinamiche digestive. Attraverso questo foro il disgraziato animale può anche essere alimentato, e raccapriccianti immagini su internet mostrano addirittura bambini che, presi in braccio dai genitori, si divertono a ‘toccare’ lo stomaco della mucca.

Per produrre latte è d’uopo che la mucca partorisca un vitellino, e questo avviene in media una volta all’anno. Quel latte che dovrebbe rappresentare l’indissolubile legame che unisce la mamma al figlio, nell’industria casearia ha tutt’altro significato. La mucca viene ingravidata artificialmente, a volte anche con l’uso di tubi metallici, e con il seme di esemplari maschi che a volte vengono perfino scelti da appositi cataloghi.  La fecondazione avviene perfino durante il periodo che sarebbe destinato all’allattamento, a tre mesi dal parto, sempre per massimizzare la produzione di latte. Il vitellino viene separato dalla mucca alla nascita, e questo provoca un lancinante dolore sia nella madre (che può muggire giorni dalla disperazione) che nel piccolo, che viene posto in una piccola stalla isolata, e reso subito anemico per dare alla carne il caratteristico aspetto rosato. Dopo solo qualche mese, verrà portato al macello.

La mucca, che potrebbe vivere vent’anni, nel giro di cinque anni non sarà più sfruttabile, e verrà anch’essa destinata al macello, che sarà l’inizio della fine di una vita miserabile. La disperazione delle mucche che vivono negli allevamenti intensivi è documentata da diversi video animalisti, ed un esempio è dato da una mucca che, in Australia, per sfuggire al suo destino, si è perfino buttata in acqua, riuscendo a nuotare per chilometri, finchè è stata lo stesso impietosamente catturata. Giunta al macello, la mucca viene stordita da una pistola cilindrica che la farà cadere tramortita a terra, e poi verrà issata ed agganciata (spesso ancora scalciante e cosciente) su grandi uncini di ferro per una zampa posteriore, dove le verrà tagliata la gola con un lungo coltello affilato.

I polli e le galline ovaiole

In natura una gallina, se ha la possibilità di muoversi e razzolare liberamente all’aria aperta, può vivere anche più di dieci anni. Le galline instaurano un dialogo con i pulcini quando sono ancora nel loro guscio, che è sano e robusto per via della tendenza della chioccia ‘campagnola’ ad ingerire piccole pietruzze (oltre ad insetti, larve e semi). Quando i piccoli escono dall’uovo vengono riscaldati dalle piume materne. Negli allevamenti intensivi le uova vengono invece tenute nelle incubatrici e quando i pulcini nascono si trovano a centinaia, se non perfino a migliaia, su dei nastri trasportatori, dove vengono velocemente esaminati da mani inguantate, pronte a scagliarli in un tritacarne qualora siano maschi destinati a diventare galli, e quindi poco utili al commercio della carne. All’università di Dresda stanno studiando un metodo per stabilire il sesso del futuro pulcino dall’embrione che si trova nell’uovo,  ma finchè questo progetto non verrà attuato rimane questa la crudelissima prassi permessa dalle leggi vigenti. Basterà fare una rapida ricerca on-line per trovare immagini (filmate da animalisti infiltrati) che testimoniano trattamenti ancor più aberranti e disumani, come quello di gettare queste povere piccole anime (ancora vive) in sacchi di plastica per buttarle nei rifiuti assieme ai gusci oppure quella di schiacciarli con i piedi oppure ancora quella di staccar loro la piccola testa.  La vita dei pulcini femmine, poichè saranno destinati a diventare galline ovaiole, verrà ‘risparmiata’, ma inizierà per loro un vero calvario. Dopo la vaccinazione, il morbido beccuccio verrà amputato, per far sì che in futuro non avvengano aggressivi attacchi con altre galline a causa del ristretto spazio vitale, e la procedura, svolta in maniera frettolosa e senza anestetico, provocherà un dolore sia immediato che cronico. Se allevati in gabbia, i pulcini si ritroveranno presto in uno spazio assai limitato (equivalente all’area di una scatola di scarpe), senza possibilità di aprire le ali e con le zampe deformate a causa della pavimentazione grigliata. Se sottoposti a manipolazioni genetiche, questi animali possono manifestare problemi anche a livello scheletrico. Dopo soli due anni, le galline ovaiole sono talmente esauste che non producono più uova, e vengono destinate a diventare carne adatta per dadi o per il brodo. Molti sono indotti a credere che le uova di gallina ‘allevate a terra’ implichino minore sofferenza, ma di fatto non è così. Queste creature non vedranno mai la luce del sole, poichè stipate in grandi capannoni al chiuso e talvolta anche senza finestre, dove l’ aria che si respira è insopportabile (anche per via di disinfettanti come l’ ammoniaca) ed il silenzio provocato dalla loro muta sofferenza è tombale. Molte galline sono malate, piene di parassiti (identificabili da quei ‘puntini’ rossi che spesso hanno intorno agli occhi) e destinate a morire senza che nessuno se ne occupi, ma per far apparire le loro uova più attraenti (e non decalcificate e porose) il mangime viene spesso integrato con farina d’osso di seppia.  Nei capannoni destinati ai polli la luce artificiale è sempre accesa per fare in modo che questi animali si nutrano senza sosta tramite appositi distributori di mangime, e dopo 38 giorni sono talmente grassi che non riescono più a reggersi sulle zampe. Dopo soli 45 giorni sono destinati a diventare carne da macello, laddove in natura vivrebbero circa sette anni. Prima della macellazione sia i polli che le galline vengono brutalmente scaraventati in stretti contenitori, ed una volta giunti a destinazione verranno appesi a ganci metallici con le zampe legate. Dopo un teorico stordimento, saranno strozzati.  Un’ analoga sorte attende anatre e tacchini, laddove le oche verranno ingozzate di prepotenza per far spappolare il loro fegato, al fine di ricavarne il costoso ‘patè de fois gras’.  I fagiani vengono invece spesso messi nelle riserve di caccia, dove sono attesi dai cacciatori oppure, nella migliore delle ipotesi, si lasciano morire di fame poichè, dopo anni di allevamento, non riescono a procurarsi il cibo da soli.  Gli struzzi vengono invece cercati anche per la loro pelle, con la quale, soprattutto in laboratori sudafricani, vengono confezionate borse di alta moda, destinate al mercato internazionale.

Gli allevamenti biologici non cancellano la sofferenza degli animali, anche se casomai questi ultimi hanno maggior spazio a disposizione, non vivono in gabbie e sono alimentati in maniera più equilibrata e salutare, senza obbligo di ingrassare in pochi giorni e di produrre uova in quantità. Tuttavia, come sappiamo, il biologico, oltre che costoso, comporta un periodo di inattività per l’allevatore, durante il quale il terreno dal quale l’animale si alimenta deve essere depurato da sostanze chimiche (provenienti anche da farmaci che si trovano nelle deiezioni degli animali) e non sempre (anche per via del fatto che, se non sussistono altre fonti di reddito, occorre richiedere dei finanziamenti) questo periodo viene rispettato. Il biologico richiede mangimi con soia non transgenica (difficile da reperire) e non esclude poi il fatto che gli animali nascano, vivano e muoiano solo per finalità produttive, ovvero siano trattati come una merce. I pulcini, ad esempio, vengono comunque selezionati in base al loro potenziale economico, ed infine destinati a diventare carne da macello. Il biologico non è poi facilmente controllabile, poichè gli enti certificatori sono privati e sovvenzionati dalle stesse aziende che dovrebbero essere ‘ispezionate’, e questo crea un conflitto d’interessi (si veda, a questo proposito, il servizio di Sky TG 24 ‘Un piatto di salute: rischi e bugie delle mode alimentari’)

I pesci, i crostacei ed i delfini

I pesci sono animali molto emotivi e sensibili, che andrebbero conosciuti nel loro habitat naturale, e non solo sui banchi della pescheria, dove inutilmente, anche nel loro prolungato martirio, tentano di renderci partecipi della loro sofferenza. Ricordo un bambino che si mise a piangere al supermercato vedendo una distesa di pesci morti, ma venne subito ‘istruito’ su come quello spettacolo fosse in realtà solo degno d’indifferenza. Seppur queste creature siano ovipare (o vivipare) e non terrestri, non sarebbe giusto pensare che la qualità del loro dolore (che tra l’altro viene protratto in una lenta agonia) sia incomprensibile ed in qualche modo diversa da quella dei mammiferi (della cui categoria fanno parte anche balene e delfini). Tutti i pesci, dal più piccolo al più grande, sono dotati di un sistema nervoso (comprensivo di cervello e midollo spinale), di un cuore ed un’arteria che corre lungo la spina dorsale, di un apparato digerente, di intestino, fegato, pancreas,  denti, narici, di un orecchio interno, di una bocca che riesce a distinguere i sapori, e che viene utilizzata anche per cercare il cibo, costruire ripari e curare i piccoli, che possono anche nascondervisi dentro. Di conseguenza, possiamo immaginare quale trauma sia fisico che psicologico possa provare un pesce quando viene preso all’amo.

Le reti dei pescherecci giungono anche in fondali delimitati dalla barriera corallina e che quindi dovrebbero essere tutelati. L’habitat naturale delle specie marine viene invece dissacrato dalla pesca selvaggia, che trascina con sè perfino cetacei e tartarughe marine. I pesci che rimangono intrappolati nelle reti raggiungono la superficie del mare così rapidamente che la prima conseguenza di tale barbara invasione è la rottura della loro vescica natatoria, una piccolo organo a forma di sacca che serve loro ad adattarsi agli sbalzi di pressione.  I pesci di piccola taglia vengono catapultati su uno strato di ghiaccio, e lasciati agonizzare fino alla cessione di ogni minimo movimento. Fra i pesci piccoli si trovano anche pesci non ancora adulti, che in teoria andrebbero subito rimessi in mare per non mettere a repentaglio la sopravvivenza della specie, ma di fatto non sempre questo avviene, anche perchè il comune consumatore- a meno che non sia un esperto in materia- non è generalmente in grado di fare queste distinzioni. Le creature marine che vengono ributtate in mare generalmente sono immangiabili e spesso già morte per mancanza d’acqua. Le reti dei pescatori a volte sono fuori norma, ma vengono lo stesso utilizzate poichè ragioni logistiche impediscono alle autorità di trasportarle fuori dalle imbarcazioni, e quindi vengono solo fissate con dei sigilli.  Inoltre non va sottovalutato il forte senso di solidarietà che vige fra i pescatori, che abitano spesso in piccoli centri e che vengono spesso associati all’ immagine che ne dà lo scrittore Giovanni Verga nei Malavoglia, ovvero a quella di poveri padri di famiglia, con molte bocche da sfamare. In realtà, anche considerando gli esorbitanti prezzi che leggiamo in pescheria, è un po’ difficile credere che questa categoria sia realmente bisognosa, a meno che si tratti dei pescatori dei paesi poveri, che non riescono a reggere la competizione con le imbarcazioni occidentali, dotate di tecnologici macchinari che riescono perfino a sondare la presenza di banchi di pesci nei fondali. I pesci di grossa taglia non dovrebbero per legge essere portati a galla con le reti, ma arpionati con dei bastoni appuntiti di nome pickers.  Anche se con questo metodo vengono catturati meno esemplari, la sofferenza che l’animale prova è smisurata, poichè viene infilzato, sollevato di forza e poi scaraventato sul ponte della barca, dove resta abbandonato a se stesso.  Un’altra pratica è quella dello shark spinning, che riguarda gli oceani in cui vivono gli squali, ed in base alla quale le zanne di questi animali (che sono ricche di calcio) vengono brutalmente staccate per venderle a ditte che le trasformano in integratori alimentari.

I pesci possono anche essere allevati nelle cosiddette ‘acquafattorie’, ovvero in grandi edifici d’acciaio all’interno dei quali si trovano delle smisurate e stracolme piscine, perennemente illuminate da una luce artificiale, che induce gli animali a mangiare più spesso e quindi ad ingrassare più velocemente. Anche se si presuppone che il pesce di allevamento non sia venuto a contatto con acque inquinate da plastica,  metalli pesanti e/o liquami vari, tuttavia ciò non significa che la sua alimentazione sia sana, poichè diversi farmaci (come antibiotici ed ormoni) vengono regolarmente somministrati non diversamente da altri tipi di allevamenti a ridotto spazio vitale. Anche nelle ‘acquafattorie’ l’unico intento è quello di aumentare le nascite, in una logica in cui la parola ‘maternità’ equivale solo ed unicamente alla parola ‘produttività’. Il macello destinato ai pesci è ancora più impietoso poichè non vigono leggi in base alle quali le pratiche devono essere indolori. L’animale, perfettamente cosciente e senziente, subisce la mutilazione di pinne e branchie, viene spellato, viene fatto lentamente dissanguare, oppure viene gettato nel ghiaccio e fatto morire assiderato. Oppure, come avviene spesso nel caso dei crostacei, arriva ancora vivo in pescheria, ma con le chele legate per non potersi muovere. Se solo sapessimo che l’aragosta è in grado di percorrere centinaia di chilometri sui fondali marini, forse sarebbe più semplice empatizzare con la sua immensa sofferenza, con il senso di quella libertà perduta, che si affrancherà soltanto con un ultimo tuffo in una pentola di acqua bollente.

I delfini sono mammiferi che non vengono macellati, ma vorrei ugualmente menzionarli poichè anch’essi vengono utilizzati a fini commerciali nei delfinari, ovvero vengono addestrati in spazi limitati per far divertire la gente, non diversamente da come avviene per gli animali da circo. I delfini ‘acrobati’, essendo dotati di grande sensibilità ed intelligenza (che li rende anche animali ideali per la pet-therapy ai bambini autistici) sono capaci di un gesto che li accomuna solo alla specie umana, ovvero ad un certo punto della loro esistenza, per mettere fine alle loro sofferenze sia fisiche che psicologiche,  decidono di lasciarsi morire, di suicidarsi. Se anche ciò non avviene, la morte sopravviene dopo soli due anni, laddove in natura potrebbero andare avanti per ben quarantacinque! La ragione di questa morte prematura, oltre a malattie correlate alla vita in vasca, è lo sfinimento, poichè vengono sottoposti a continui allenamenti, e per farli ubbidire sono costretti a subire severi digiuni. L’unico cibo che questi delfini conoscono sono le ricompense per eseguire gli ordini che vengono impartiti. I delfinari, come i circhi del resto, sono pieni di bambini, poichè i genitori ritengono ‘istruttivo’ assistere a certi spettacoli. Se le scuole finalmente impartissero almeno un’ora a settimana di seria educazione animalista, forse potrebbero essere i figli ad insegnare qualcosa ai loro genitori.

I suini

I maiali vengono descritti nel libro di George Orwell (Animal farm, 1945) al vertice di un’ egualitaria fattoria che è riuscita ad emergere sulla prepotenza umana. Di fatto, questo non avverrà mai, e se avesse la possibilità di vivere secondo natura, questa specie animale si ciberebbe di vegetali, di frutta, di tuberi, di bacche, di ghiande ed anche di qualche piccolo verme o roditore. Per via del loro sviluppato olfatto, potrebbero anche rivelarsi esperti procacciatori di tartufi.  I maiali grufolano, ovvero cercano il cibo sfregando il muso (grifo) per terra, e poi si rotolano nel fango per liberarsi dagli insetti e per sopportare meglio il caldo. I maiali consumano molta acqua (dieci litri ogni giorno) e non farebbero mai i loro bisogni nello stesso luogo in cui dormono o mangiano, se non fosse stato l’uomo stesso che, per trarne maggiori profitti, li ha costretti a vivere in questo modo.  I maiali vengono descritti (anche dagli stessi allevatori) come buoni, socievoli, gioiosi, giocherelloni, leali, affezionati, civili, ed assolutamente immeritevoli di un simile trattamento.  In Italia ne vengono allevati circa nove milioni, che nell’arco di poco tempo (cinque-otto mesi per i maschi e due anni per le femmine) vengono macellati, mentre se vivessero normalmente raggiungerebbero quasi i vent’anni. Poichè il loro organismo non è in grado di regolare la temperatura corporea, i maiali dormono stretti uno vicino all’altro, ma questo non è contemplabile nell’allevamento intensivo, dove vengono isolati in gabbie allineate. In natura la femmina cercherebbe un adeguato spazio adatto per dormire, laddove in allevamento i piccoli nascono in un’area talmente limitata che la possibilità di soffocarli col peso del corpo è davvero alta. Inoltre, le zampette dei piccoli restano spesso imprigionate nelle grate, col rischio di spezzarsi nel tentativo di liberarsi. La gestazione della scrofa dura quattro mesi, ed anche se potrebbero nascere fino a quindici cuccioli, di fatto ne restano in vita solo dodici, poichè non tutti riescono ad essere allattati dalla madre, e la gran parte degli allevatori non ha alcuna intenzione di sfamarli col biberon.  Se invece la scrofa non è in grado di dare alla luce un buon numero di piccoli, viene subito macellata. Esiste un farmaco che serve a far andare le scrofe più spesso in calore, che viene ricavato da un ormone (PMSG) estratto dal sangue delle cavalle incinte. Queste illegali ‘fattorie del sangue’ (denunciate soprattutto negli Stati Uniti ed in Sud-America) provocano stati di anemia nelle femmine degli allevamenti equini.

Dopo quindici/ ventuno giorni di allattamento, i piccoli maiali vengono separati dalla madre, castrati prematuramente (per non pregiudicare il gusto della carne) e poi privati dei denti canini e di una parte delle codine (quest’ultima operazione, seppur molto rapida, avviene con delle lamine arroventate).  Non avendo alcun interesse e modo per muoversi, questi animali presto diventeranno oltremodo nervosi, fino a mordersi l’uno con l’altro o a precipitare in una seria depressione. I maialini più giovani si chiamano lattonzoli, e vivono in box, laddove quelli più adulti (che possono raggiungere i 185kg di peso) vengono messi in porcilaie che possono avere pessime condizioni igieniche. La trasmissione Report del 29 maggio 2016, ad esempio, ha individuato, oltre che escrementi, anche roditori in questi luoghi, il che conferma che i veterinari, che dovrebbero provenire a turno dalle A.S.L., in realtà si occupano di altre questioni, come ad esempio la funzionalità e messa a norma degli impianti, ma non delle condizioni di vita degli animali. I veterinari tendono più che altro a prescrivere farmaci (il 71% di antibiotici è destinato agli allevamenti intensivi) che poi provocheranno lo sviluppo di resistenti batteri (come ad esempio lo staphilococcus aureus). Per prevenire epidemie come ‘la febbre suina’, vengono utilizzati vaccini, che però rendono più vulnerabile il sistema immunitario e presentano formaldeide,  la stessa sostanza cancerogena che si trova anche nelle bottigliette di plastica. Se l’allevatore viene ingaggiato dal proprietario degli animali (soccidante) non diventa molto semplice comprendere a chi spetti il compito riguardante l’alimentazione ed il modo di trattare gli animali. Il mondo della politica sta poi molto attento a non alienare le convenienze economiche della lobby costituita dagli allevatori.  Il deputato Mirko Bustone è uno dei pochi parlamentari che     sta tentando di far approvare leggi che tutelino maggiormente gli animali negli allevamenti intensivi. Nei macelli destinati ai suini si odono grida simili a quelle umane, ed il numero di animali destinati giornalmente alla morte è veramente alto, anche perchè ogni parte del corpo dell’animale può essere utilizzata (anche le setole per ricavarne pennelli e spazzole). Prima di essere ucciso il maiale dovrebbe essere intontito da una scossa elettrica, ma questo avviene in maniera distratta, quindi la verità è che questi animali vengono sgozzati quando sono ancora coscienti, ed a volte (come dimostra l’uscita di acqua durante lo squartamento) sono ancora senzienti anche quando vengono gettati nell’acqua bollente per facilitare il successivo spellamento.

Le pecore e gli agnelli   

Le pecore vengono sfruttate per ricavare latticini ma anche per la lana, e la tosatura, che spesso viene svolta senza cura e considerazione, può provocare dolorose lacerazioni. Senza la protezione del vello, che le protegge dal clima più rigido, molte pecore si ammalano, e vengono destinate al macello. Siccome la parte posteriore del corpo della pecora tende a sporcarsi e può attrarre insetti, un lembo di pelle viene strappato ed il pelo non può più ricrescere (questa pratica si chiama ‘mulesing’). Le pecore vengono poi fatte partorire non solo per il loro latte, ma anche per gli agnelli, che vengono strappati alla madre per la loro carne, la quale è consumata anche per motivazioni simbolico-religiose (ci sono diversi stemmi che raffigurano l’agnello come opposto al fiero leone, ovvero come simbolo di timorosa devozione a Dio  ed umiltà cristiana). Questo avviene anche se in realtà non vi sono esplicite parti nella Bibbia in cui il Signore chiede di uccidere un agnello, tranne che in un brano dell’Esodo (12, 1-14, 46) dove viene chiesto agli israeliti, che sono ridotti in schiavitù in Egitto, di sacrificare questo tipo di animale all’interno della loro abitazione e poi di spalmare un po’ del suo sangue sugli stipiti delle porte, affinchè Dio possa distinguere le case dei suoi seguaci da quelle degli egiziani pagani. Questo evento si riconduce alla Pasqua ebraica, che celebra proprio la liberazione degli israeliti ed il loro cammino verso la terra promessa.  Sembra che la passione di Cristo abbia analogie col modo in cui gli ebrei sacrificavano il loro agnello a Pasqua, come lo stesso giorno del sacrificio (tre del pomeriggio del venerdi > giorno 14 del mese di Nisan) ed anche la modalità, ovvero lasciando le ossa intatte:

Venuti da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia. (Vangelo secondo Giovanni, 19,31-36)

Questo in realtà avvenne, come si legge in questo stesso passo del Vangelo, non perchè si volesse trattare Cristo diversamente dai due ladroni, ma soltanto perchè era già spirato, e quindi non avrebbe avuto senso infliggergli un’ulteriore tortura. Un’altra analogia, come dedotto da Sant’ Agostino, sarebbe quella fra la croce e i due bastoni di melograno (uno verticale ed uno orizzontale) con cui veniva arrostito l’agnello pasquale ebraico.  Tuttavia, non avrebbe un gran senso, per un cristiano, uccidere un agnello soltanto per rievocare il modo in cui Cristo fu barbaramente crocefisso. Semmai, sarebbe più logico ricollegarsi alla metafora che rende Cristo ‘agnello di Dio’, colui ‘che prende su di sè i peccati del mondo’ (Vangelo secondo Giovanni, 29-36). Cristo è colui che salva e che redime, è colui che morendo ha espiato i peccati dell’umanità. L’Eucarestia è il rito cristiano che riproduce questo sacrificio. Tuttavia, durante l’Ultima Cena, Cristo invita a mangiare del suo corpo ed a bere del suo sangue in forma di pane e di vino, non certamente nella forma di carne di agnello. L’agnus dei andrebbe quindi interpretato non come un rito, bensì come un modo allegorico di descrivere Cristo, come quando San Pietro, nelle Lettere Cattoliche, scrive che Gesù è ‘un agnello senza difetti e senza macchia’ (1, PT 1, 19).

Per quanto riguarda il mondo musulmano, durante la festa del sacrificio (eid al adha), che prende generalmente luogo alla fine di agosto, viene sacrificato un agnello, un montone oppure una capra. Questo non avviene perchè lo prescriva il Corano (che proibisce soltanto di mangiare carne di maiale)  ma perchè i musulmani, proprio come gli ebrei ed i cristiani, si considerano discendenti di Abramo, anche se da parte del figlio Ismaele, avuto dalla schiava Agar. I musulmani pensano che Abramo, accettando di uccidere il figlio Isacco, abbia dimostrato una totale fede in Dio, quella che dovrebbe avere ogni islamico.  In realtà, in questo passo della Genesi, Dio voleva solo mettere alla prova la sottomissione di Abramo, ed al posto del figlio Isacco venne poi sacrificato un ariete (Gen. 22,1-18), e quindi un animale già adulto, che nulla aveva a che vedere con un agnello.

Molti agnelli che vengono consumati durante il periodo pasquale provengono dall’ Est Europa, stipati su camion in cui scarseggiano cibo ed acqua, e belando disperatamente anche a causa della separazione dalla mamma.  Le autorità generalmente non se ne curano, trattandoli come comune merce. Dopo poche settimane dalla nascita, sono sottoposti al taglio delle orecchie ed alla castrazione senza anestesia. Quando raggiungono gli otto chili di peso (abbacchio) oppure i dieci chili (agnello da latte) vengono macellati. Questo avviene prima rendendoli (teoricamente) incoscienti con una scossa elettrica, e poi appendendoli per le zampe posteriori ai dei ganci metallici. A questo punto gli viene tagliata la gola con un coltello affilato, fino al dissanguamento totale.  Simile destino spetta ai capretti, consumati soprattutto nel periodo natalizio poichè nascono in autunno e non in primavera come gli agnelli. Infine,  quando vediamo esposta nei banconi la famosa e gustosa mozzarella di bufala, dovremmo rivolgere un pensiero ai bufalotti maschi, che vengono spesso eliminati oppure abbandonati poichè la loro carne non è commerciabile.

I conigli

Anche quando i conigli vengono tenuti come animali d’affezione, vivono spesso in gabbia ed alimentati in maniera scorretta, laddove in natura sono erbivori stretti e timidi scavatori, che costruiscono tane sotterranee per proteggersi da potenziali nemici. Quando la coniglietta sta per partorire, cerca uno spazio ‘privato’ e costruisce un nascondiglio con foglie e paglia, a cui aggiunge anche un po’ della sua pelliccia per renderlo più caldo ad accogliente. Papà coniglio l’aiuta nell’accudimento dei piccoli. Se invece il coniglio viene allevato per essere mangiato (e questo riguarda, solo in Italia, circa venti milioni di unità), viene costretto a riprodursi in continuazione, fino ad otto gestazioni all’anno. Quello stupido detto ‘far figli come i conigli’, non si  riferisce quindi tanto ad abitudini che sono connaturate a questa specie, quanto a trattamenti crudeli e malsani che gli esseri umani hanno progettato per renderla oltremodo prolifica. Dopo soli due anni, essendo ormai esauste,  le conigliette vengono macellate, laddove normalmente arriverebbero a dieci. I maschi vengono invece abbattuti dopo solo tre mesi. In gabbia i conigli sono pigiati uno contro l’altro, senza la possibilità di muoversi,  laddove la natura li aveva creati per correre veloci e fare balzi di oltre un metro di altezza. Le reti metalliche causano loro delle lesioni, ed il trenta per cento non riesce a sopravvivere. Il cinico disinteresse dell’allevatore costringe queste delicate e sensibili creature a convivere per giorni con i cadaveri dei compagni di sventura. La macellazione dei conigli è particolarmente straziante, poichè questi delicati animaletti vengono, perfettamente coscienti, appesi uno dopo l’altro per le zampe posteriori e sgozzati senza pietà. le macchie di sangue che cadono copiose sulla loro candida pelliccia è lo spettacolo forse più raccapricciante che si possa immaginare.

Nel 2017. grazie ad un  parlamentare tedesco,  l’ Unione Europea ha fatto i primi passi per eliminare le gabbie negli allevamenti di conigli, ed in Belgio sono stati già promossi spazi in cui i conigli possono muoversi fuori dalle gabbie. Chiaramente questo dovrebbe avvenire anche in altri tipi di allevamenti (come quello delle galline ovaiole). Le gabbie di gestazione negli allevamenti suini sono state abolite nel 2013 ma solo in teoria, poichè  in realtà possono ancora essere usate durante le prime quattro settimane di gestazione ed anche la settimana prima del parto. Inoltre, gli allevatori avranno tempo fino al 2023 per adattare i loro ‘sistemi produttivi’ a questa nuova disposizione. Se quindi si richiede una così impegnativa battaglia politica solo per ottenere condizioni di vita meno disumane, possiamo ben immaginare come sia quasi utopica la strada per salvare gli animali dalla macellazione, ovvero come sia difficile, se non quasi impossibile, immaginare un futuro dove gli animali non verranno messi al mondo per fini puramente commerciali. L’unica vera speranza di cambiamento non sono le concessioni politiche, ma siamo noi consumatori, che dovremmo, come primo passo, diventare consapevoli, e quindi comprendere che cosa si cela dietro il consumo di carne, latte/latticini e uova. Se questo non avviene è soprattutto per via del fatto che non vi è alcun interesse economico a farci operare scelte ponderate, che potrebbero fortemente incidere sulle nostre scelte alimentari. Non vi è alcuna convenienza, per la lobby degli allevatori (tra l’altro difesa a spada tratta da diversi politici) a far diventare trasparenti le pareti degli allevamenti intensivi, casomai mettendovi all’interno sistemi di video-sorveglianza obbligatori per legge, che potrebbero – oltre che arginare i maltrattamenti- anche tutelare le condizioni igienico-sanitarie di questi luoghi e quindi la stessa salute del consumatore. I cosiddetti ‘infiltrati’, ovvero gli animalisti che sotto copertura filmano e pubblicano on-line i video di questi luoghi, stanno pian piano diventando- anche grazie e soprattutto alle condivisioni su internet, figure legalmente riconosciute. Del resto è difficile comprendere la sofferenza degli animali (ed il conseguente impatto umanitario ed ambientale)  se non si parte dallo stridente contrasto fra la loro vera natura (della quale furbescamente si avvalgono i cartelloni pubblicitari) e le reali condizioni in cui sono invece costretti  a nascere, vivere e morire.

Si ribadisce che in questo articolo si parla del trattamento degli animali nel particolare ambito degli allevamenti intensivi, nei quali gli esemplari destinati alla macellazione per fini commerciali vengono fatti riprodurre in notevoli quantità ed in spazi chiusi e ristretti. Tutte le affermazioni scritte in questo articolo sono supportate da materiale d’indagine di riconosciuti autori e/o associazioni animaliste, e chiaramente gli illeciti non si verificano in ogni allevamento intensivo, seppur la mesta esistenza degli animali che si trovano in questi ambienti- anche quando sono osservate le leggi vigenti- dovrebbe comunque essere oggetto di maggiore e mirata attenzione da parte delle autorità  competenti nonchè di minore indifferente meccanicità da parte degli operatori del settore.  

Fonti principali: Emilia Abbo ‘Le ragioni del mondo vegan’  ed articoli-video dell’associazione Animal Equality 

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Per mettersi in diretto contatto con Emilia Abbo, inviare un' e-mail a: emilia_abbo@post.harvard.edu

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