Bail in luglio 2016, significato e conseguenze per le banche in Italia: ci sarà un intervento pubblico?

Pubblicato il 9 Lug 2016 - 2:11pm di Ubaldo Cricchi

Quella che si sta concludendo può essere indicata come una delle peggiori settimane vissute dalle banche italiane: ogni volta che gli istituti bancari tornano sulle prime pagine dei giornali per motivi non positivi scatta l’incubo del Bail in, e questi giorni non fanno eccezione. Ma cos’è questo Bail in, quali sono le sue conseguenze e perché in queste ore viene definito da molti come una misura incostituzionale?

La crisi del 2016 delle banche in Italia e non solo

Prima di tutto bisogna chiarire una cosa: la crisi delle banche non riguarda solo l’Italia; secondo quanto affermato dal Wall Street Journal, i principali istituti del mondo hanno perso un quarto del loro valore in questi primi sei mesi del 2016. Parliamo di 465 miliardi di euro! Non si possono ovviamente dare tutte le colpe alla Brexit, visto che le difficoltà sono sorte ben prima del referendum che ha decretato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea; tra gli altri fattori che hanno contribuito a peggiorare la situazione vengono indicati anche il prezzo del petrolio che ha raggiunto i suoi minimi storici, le grandi incertezze sull’economia cinese e i tassi d’interesse statunitensi.

Nell’analisi fatta dal WSJ sono stati presi in considerazione i 20 istituti più importanti del mondo: tra di loro era presente solo un rappresentante del settore bancario italiano, ovvero Unicredit, che è anche quella che ha subito le perdite più importanti sul proprio valore di mercato (-64%). L’ultima settimana in Borsa è stata molto difficile per tutti i titoli bancari, ma al di là dell’incertezza causata dalla vittoria del Leave al referendum sulla Brexit, il vero problema degli istituti italiani è rappresentato dai crediti deteriorati: come ha spiegato anche Giovanni Sabatini (direttore generale di Abi) il settore bancario italiano è meno esposto alle conseguenze della Brexit rispetto a quelli tedeschi, spagnoli o francesi, eppure osservando i mercati sembra l’esatto contrario.

Il problema dei crediti deteriorati

L’incertezza sul sistema bancario italiano è in realtà legato ai crediti deteriorati (spesso indicati come npl, ovvero Non performing loans), cioè dei prestiti effettuati che difficilmente le banche riusciranno a recuperare. Nei bilanci delle banche del Bel Paese questa voce pesa per circa 200 miliardi di euro (al lordo, 87 miliardi netti); a questi vanno poi aggiunti anche 150 miliardi di incagli (crediti che non vengono ancora considerati compromessi del tutto), arrivando ad una sofferenza complessiva di 350 miliardi di euro. Una cifra mostruosa, se si considera che è pari ad un quinto del Pil. Parlando in termini lordi, Unicredit “vanta” ben 80 miliardi di crediti deteriorati, mentre Monte dei Paschi, una delle banche più esposte, ne ha 47.

Per contrastare il problema della non performing exposure bancaria fino ad oggi ci si è mossi in modo variegato. In Italia la prima soluzione adottata è stata l’istituzione di Atlante, il fondo destinato alla ricapitalizzazione delle banche e all’acquisto dei Npl. A novembre ci sono stati i famosi fallimenti delle quattro banche popolari, poi ad inizio 2016 la bad bank; forse è il caso di trovare una soluzione sistemica, qualcosa in grado di garantire un’effettiva stabilità all’intero settore. Dal primo gennaio sono entrate in vigore le regole della Normativa europea sulla risoluzione delle crisi bancarie, tra cui quella relativa al Bail in. Ed eccolo qui, il protagonista del nostro articolo.

Bail in o intervento pubblico?

Si tratta di un principio secondo il quale il capitale di una banca in crisi debba essere ricostituito dai detentori degli elementi più rischiosi finanziariamente parlando, ovvero azionisti, obbligazionisti e i titolari di conti correnti sopra i centomila euro; il tutto senza che lo Stato possa intervenire con i suoi aiuti pubblici. L’errore quindi sta a monte: si doveva intervenire prima di arrivare a questo punto: la Germania ha iniettato 250 miliardi nel proprio sistema bancario, mentre il governo italiano non ha potuto farlo innanzi tutto perché non aveva spazi di manovra per via del debito pubblico troppo alto e poi perché si sperava che la crescita economica venisse accompagnata da una risoluzione “naturale” del problema delle sofferenze.

Ma così non è stato, anzi: la crescita (se c’è) è più debole del previsto, in Borsa le cose peggiorano e il patrimonio delle banche si riduce, rendendo sempre più pesanti le sofferenze. Quindi ora si deve per forza procedere con il Bail in? Da Bruxelles invitano (minacciano?) a rispettare le regole: lo Stato italiano doveva aiutare le banche prima, anche ricorrendo all’uso di soldi pubblici, ma ora ci sono delle regole che, per quanto stringenti, devono essere osservate. Per contro Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, dice che le regole sul Bail in andrebbero riviste, perché in contrasto con la Costituzione Italiana e che un intervento pubblico in aiuto degli istituti non può essere escluso. Questa alternanza di notizie ha conseguenze anche sui mercati, dove la possibilità di un intervento pubblico ha regalato ai listini bancari una ripresa al termine di una settimana che comunque rimane difficile. Il dialogo tra l’Italia e le istituzione europee continua con l’obiettivo di trovare una tipologia di intervento applicabile senza violare le regole.

Cosa prevedono le regole sul Bail in: per l’Abi è incostituzionale

In caso di crisi di una banca il Bail in prevede che i primi a pagare siano gli azionisti: cosa anche normale, visto che chi acquista le azioni diventa socio dell’azienda e, di conseguenza, si assume anche il rischio d’impresa. In secondo luogo pagano gli obbligazionisti, ma qui bisogna fare una distinzione: gli obbligazionisti per definizione sono dei creditori nei confronti dell’istituto emittente, ma le obbligazioni “junior” (le famigerate subordinate) hanno alcuni aspetti in comune con le azioni e, quindi, sono più rischiose; in caso di problemi finanziari per chi ha emesso i titoli, il rimborso delle subordinate avviene solo dopo quello dei creditori ordinari e più è grave la crisi della banca più sono alte le probabilità di subire perdite. I correntisti in linea di massima possono stare tranquilli, visto che i loro risparmi possono essere toccati solo se le perdite di azionisti e obbligazionisti (subordinati prima e ordinari dopo) non sono bastate a coprire il buco; inoltre le norme sul Bail in prevedono che possano essere toccate solo le somme che eccedono i centomila euro (200.000 in caso di conto cointestato) e per evitare spiacevoli sorprese in molti hanno scelto di prendere precauzioni, frazionando i propri risparmi su più conti in modo da mantenere la tutela.

Ma perché l’Abi ha detto che il Bail in è incostituzionale? Molto semplicemente perché la possibilità che le perdite ricadano anche sugli obbligazionisti va contro la tutela del risparmio citata dall’articolo 47 della Costituzione:

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Info sull'Autore

Sardo trapiantato in Umbria, dopo una lunga gavetta da articolista, posso vantarmi di essere un giornalista pubblicista. Convinto oppositore della scrittura in stile SMS, adoro gli animali e la musica.

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