Cittadinanza attiva: un diritto non esercitato

Pubblicato il 24 Mar 2013 - 5:10pm di Irene Masala

Con il Servizio Civile Internazionale l’utopia si trasforma in cittadinanza attiva

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Crisi finanziaria, prelievi forzati, nuove forze politiche in campo, nuovo Papa, allarme nucleare, rivolte popolari che abbiamo “aiutato” ed altre che si consumano silenziose davanti ai nostri occhi. Ogni giorno siamo catapultati al di fuori del mondo che ci circonda, i nostri problemi quotidiani, dall’aumento dei prezzi, alla mancanza di lavoro,  arrivano da lontano, da un posto in cui probabilmente non siamo mai stati e sono conseguenza di un sistema di cui a stento capiamo la logica e il funzionamento. Sappiamo tutto dello spread, ma non conosciamo quello che ci succede a fianco. Senza dubbio la nostra è la generazione più formata e acculturata che la civiltà umana abbia mai conosciuto, ma stranamente questa conoscenza non si trasforma in partecipazione alla vita collettiva. Anzi, siamo sempre più disinteressati, più individualisti e scettici nei confronti di ciò che ci circonda. Eppure, in questa situazione di disorientamento generale, ci aiuterebbe ricordarci che essere cittadino non significa solo farsi svuotare le tasse dal fisco, o godere di quei diritti a cui altri non hanno accesso. La cittadinanza attiva implica un vincolo, un legame di appartenenza dell’individuo all’ambiente circostante, ed è quando questa cittadinanza non si subisce passivamente, ma si applica in maniera propulsiva, che si possono mobilitare forze e risorse di cui i singoli ignoravano l’esistenza. Quando questo rapporto diventa attivo e consapevole, oltrepassando la sfera degli interessi per arrivare a quella dei valori, la comunità diventa una forza a tutela dei diritti e dei beni comuni.

Diventare cittadini attivi è più facile di quel che sembra, l’Italia è ricca di associazioni che si muovono in tal senso. Tra queste spicca il Servizio Civile Internazionale, una Ong nata  nel 1920 come movimento laico di volontariato concentrato sui temi della pace, del disarmo, dei diritti umani e della solidarietà internazionale. Attualmente è presente in 43 nazioni e collabora con diverse associazioni. Ogni anno propone campi di volontariato, in Italia e nel mondo, su varie tematiche: dall’ambiente alla cultura, dal sostegno dell’inclusione sociale alla risoluzione non violenta dei conflitti. Inoltre, per quanto riguarda la realtà romana, è presente sul territorio con La Città dell’Utopia, progetto che vede la trasformazione del Casale Garibaldi di San Paolo in un laboratorio sociale che coinvolge gli abitanti dell’XI Municipio, e non solo, in una nuova visione di sviluppo locale e globale che sia equilibrata, sostenibile e giusta.

Ma la cittadinanza attiva, nell’era della globalizzazione, acquisisce un’accezione che supera le barriere e i confini nazionali. Essere persone consapevoli significa indignarsi ancora, nonostante tutto, non solo per le ingiustizie che avvengono nel nostro orticello, ma anche per quelle lontane da vedere, da percepire, ma presenti e costanti. Ed è in questa direzione che si muove uno dei più importanti progetti dello Servizio Civile Internazionale: quello in Palestina. Lo Sci lavora da anni all’interno dei territori palestinesi sostenendo la popolazione nella lotta contro l’occupazione, contro la costruzione del muro di separazione, aiutando i contadini a difendere le proprie terre, lavorando a fianco dei comitati popolari di resistenza (PSCC), promuovendo campi di volontariato volti ad una conoscenza reale del conflitto, tale da scardinare la dicotomia buoni e cattivi e sostituirla con meccanismi di inclusione e  unione.

È vero che la società in cui viviamo è dominata da dinamiche, conflitti e abusi  difficili da contrastare. Può sembrare la lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento, vana e impossibile. Ed è per questa ragione che la maggior parte delle persone si disinteressa del prossimo, della collettività, perché ha la percezione che sia uno sforzo inutile. Ma non è così.  Questo è solo un esempio di come sia facile scampare alla routine, all’indifferenza, per far parte di qualcosa che possa davvero definirsi comunità e per cercare di far valere quegli ideali che ancora, e nonostante tutto, ci animano. É la dimostrazione di come oggi sia possibile combattere un’occupazione militare con manifestazioni non violente, col boicottaggio, con l’attivazione dal basso. Possono sembrare piccole cose comparate ad una potenza militare, ma lo sono solo perché non tutti i cittadini di questo mondo sono cittadini attivi e indignati. La resistenza non è solo armata e non vede come nemico solo quello in divisa. Questa è resistenza al decadimento, all’ingiustizia, ad una società che ci fagocita nelle sue regole distorte senza darci niente in cambio. È l’utopia che non si arrende alla passività.

Info sull'Autore

Laureata in Scienze Politiche e Giornalismo ed Editoria, da anni si occupa di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare interesse per il Medio Oriente e il conflitto arabo-israeliano. Due grandi passioni, scrivere e viaggiare, l'hanno portata a trascorrere gli ultimi sei anni tra Roma, Valencia e Israele/Palestina. Ha inoltre frequentato il Master in Giornalismo Internazionale organizzato dall'IGS (Institute for Global Studies) e dallo Stato Maggiore della Difesa, nell'ambito del quale ha avuto modo di trascorrere due settimane come giornalista embedded nelle basi Unifil in Libano.

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