Veloce come il vento, recensione e trama: al cinema il film con Stefano Accorsi

Pubblicato il 9 Apr 2016 - 2:31pm di Francesco Salvetti

Dopo la serie 1992 Stefano Accorsi torna finalmente al cinema in “Veloce come il vento“, per interpretare un personaggio come Loris De Martino, molto diverso dai suoi precedenti.

Trama film “Veloce come il vento”

Loris De Martino è stato un ex pilota di successo nel campionato di Gran Turismo Italiano, ora caduto nel tunnel della tossicodipendenza. Giulia, sua sorella, è una promessa del Gran Turismo sulla quale il padre ha investito parecchie risorse, arrivando a mettere in ipoteca la loro casa, il tutto per far sì che Giulia vinca il campionato.

È proprio durante una gara, il momento in cui i De Martino perdono padre e fratelli. Se prima erano lontani e separati, ora si ritrovano quasi costretti a vivere insieme. Riuscirà Giulia, con un aiutante così, a vincere il campionato? Che cosa accadrà ai De Martino?

Veloce come il vento, la recensione

Distribuito da 01 Distribution e prodotto da Domenico Procacci, arriva al cinema dal 7 aprile (e si presenterà come film italiano di punta ai Cinemadays di aprile) “Veloce come il vento”, il nuovo lavoro di Matteo Rovere.

Questo film riesce ad unire il racconto di legami familiari ad un contesto rivoluzionario per il cinema italiano: il mondo delle auto, per la precisione il Gran Turismo. Un mondo che nessuno aveva mai raccontato e che recentemente abbiamo potuto ammirare in “Rush”, penultimo film di Ron Howard.
E’ proprio da questa proiezione e dalla cinematografia italiana anni ’70 che il regista inizia a concepire la sua terza regia.

Matteo Rovere, precedentemente, aveva realizzato due film interessanti, dove mostrava molti spunti positivi. Purtroppo entrambi i lavori hanno evidenziato delle clamorose risposte negative in termini di box office. Così, da persona saggia, dopo “Gli sfiorati” datato 2011, si è fermato, ha riflettuto molto ed ha ricominciato a guardare la società attorno a lui. Nel 2013 ha notato un giovane regista,  dal nome non troppo italiano, e lo ha consigliato al suo produttore Domenico Procacci. Il regista in questione si chiama Sydney Sibilia e il suo “Smetto quando voglio” è stato un successo al botteghino, riconosciuto anche in tutto il mondo grazie ad una fortunatissima vendita estera.

Film tratto da una storia vera

“C’ho tutto qua, c’ho tutto qua” sono delle parole che dice Loris De Martino quando dirige l’allenamento della sorella Giulia e sono probabilmente le stesse che pensava Matteo Rovere durante il suo periodo di pausa in cui è venuto a conoscenza della storia vera che ha ispirato il film. Con questa storia e soprattutto col lavoro di riadattamento cinematografico, fatto insieme a due interessanti sceneggiatori come Filippo Gravino e Francesca Manieri, scaturisce un plot che compara la vita reale con quella automobilistica dove “restare concentrati al volante” è fondamentale per non fare la fine di Loris.
In fase di realizzazione della pellicola, Rovere ha sempre tenuto aggiornato il suo produttore. “Suo” perché il signor Domenico Procacci, direttore della “Fandango”, finanzia il fortunato progetto “Smetto quando voglio” e i due film precedenti del regista.

Procacci è il più grande talent scout del cinema italiano moderno, sotto di lui sono passati nomi come Paolo Sorrentino (“L’amico di famiglia”), Gabriele Muccino (con cui ha collaborato sino al suo definitivo trasferimento in terra americana), Matteo Garrone (ne ha finanziato l’esordio) e tanti altri grandi nomi. Inoltre è uno dei produttori della serie di successo in “Gomorra La Serie” che vedrà, nella data del 10 maggio, l’arrivo in tv di una seconda stagione. Purtroppo, però, in quest’ultimo periodo ha azzardato troppo nel dare fiducia ed ha avuto una flessione con i flop di Giovanni Veronesi (“L’ultima ruota del carro” e “Una donna per amica”) che gli son costati parecchi soldi. Però, come dice sempre Loris De Martino nel film, “Certe volte bisogna prender dei rischi”. E questa volta Fandango è tornata a scommettere sul cavallo giusto.

La storia è ambientata in Emilia Romagna e Rovere ha scelto espressamente di parlare il dialetto romagnolo per due motivi: rendere omaggio alla “terra dei motori”, la regione Emilia Romagna, e per dare una precisa collocazione reale della storia. Così visti questi presupposti, il dottor Procacci assieme al regista hanno ripercorso immaginariamente vecchi film Fandango e avranno notato che nel 1998 c’era un giovane attore italiano, ora internazionale. Una delle icone sexy del cinema italiano, che parlava un dialetto romagnolo proprio come quello utile per il film: Stefano Accorsi.

Stefano Accorsi e Matilda De Angelis, il duo protagonista

Tra i protagonisti della generazione di attori lanciata dai film “Ultimo bacio” e “Romanzo Criminale” ha mantenuto, nel corso degli anni, la sua figura di attore importante perché capace e abile nell’adattarsi ai vari ruoli che gli sono stati affidati e agli altri paesi dove ha lavorato. Recentemente e in gran parte della sua carriera ha spesso interpretato caratteri ambigui che la “notte” o la nascondevano o la possedevano nel cognome, per la prima volta indossa i panni di uno che la vive. Per interpretare Loris, Stefano distrugge la figura del bello e sensuale costruitasi lungo la sua carriera, anche grazie a uno spot di una nota casa automobilistica che recentemente lo ha visto protagonista. Ora ha le unghie nere, rovinate, ha i denti sporchi, è pieno di rughe e i capelli grassi: il profilo di un uomo distrutto in cerca di riscatto per una vita rovinata dalla droga. Nell’interpretarlo cura meticolosamente il dialetto, le movenze fisiche che lo vedono spesso claudicante e, nelle scene alla guida, applica sapientemente i consigli offerti da un campione di gran turismo italiano che lo ha affiancato per prepararsi a questa esperienza.

Ad affiancare Stefano è stata scelta Matilda De Angelis.  Giovanissima protagonista della serie tv di Rai Uno “Tutto può succedere”, si cala nei panni di Giulia De Martino non facendo pesare allo spettatore il fatto che questo è il suo film d’esordio. Con i suoi occhioni da cerbiatto e una voce ammaliante per recitazione, innocenza e consapevolezza della propria femminilità ha ricordato la prima Jennifer Lawrence, quella che già al secondo film vinceva l’Oscar come miglior attrice protagonista per “Il lato positivo”. Come suo fratello nel film, ha subito una trasformazione fisica sporcandosi il corpo per mostrare il duro lavoro nella manutenzione dell’auto e una ciocca blu sul volto.

Il lavoro finale è un film che sarà da strumento di paragone per tutti quelli che vorranno avvicinarsi al realizzarne uno di genere. Grazie ad inquadrature spettacolari, un abilissimo direttore della fotografia e un imponente lavoro con i tecnici del suono, non è inferiore a nessun film simile come tematica nel panorama mondiale, ma soprattutto alimenta quel fuoco iniziato con Lo chiamavano Jeeg Robot per una nuova luce nel mondo del cinema italiano.

Info sull'Autore

Laureando in Ingegneria Gestionale presso l'università di Tor Vergata, da sempre appassionato di cinema e inviato per eventi cinematografici per Corretta Informazione.

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