Una memoria sconosciuta e ritrovata in fondo a “Il labirinto del silenzio”: recensione e trama

Pubblicato il 18 Dic 2015 - 1:58pm di Francesca Sirignano

Il labirinto del silenzio uscirà nelle sale italiane il 14 gennaio dell’anno che è prossimo ad arrivare, giusto qualche settimana prima della giornata della Memoria. A primo impatto può sembrare appunto uno dei tanti film su questa tematica, e solo dopo aver atteso la fine della pellicola si può capire come esso sia molto di più.

Il labirinto del silenzio, trama del film

In concorso agli Oscar come migliore film straniero, sotto la regia di Giulio Ricciarelli e sceneggiato da Elisabeth Bartel in collaborazione con lo stesso regista, “Il labirinto del silenzio” racconta sullo sfondo di vicende realmente accadute, ovvero il processo di Francoforte, la storia di Johann Radmann (personaggio di finzione interpretato da Alexander Fehling), un giovane pubblico ministero che si trova d’improvviso coinvolto in importanti indagini che vanno a spolverare un pezzo di storia per troppo tempo rimasto sepolto.

Il labirinto del silenzioSiamo nel 1958, gli orrori dell’Olocausto sono finiti ormai da un pezzo e mentre la parte della Germania che ne è responsabile sembra voler dimenticare sotterrando il tutto in un indignoso silenzio, le nuove generazioni dal canto loro sembrano non conoscere minimamente le vicende di Auschwitz. Ad alzare il polverone, nella scena d’apertura del film, è un incontro casuale tra una vittima del nazismo Simon Kirsch, interpretato da Johannes Krisch, e una ex guardia di Auschwitz che si scopre essere diventato insegnante.

La scoperta ripugnante e inaccettabile viene ad essere esposta in tribunale da Thomas Gnielka, il cui interprete è l’attore Andrè Szymanski, un giornalista amico della vittima che ha avuto lo spiacevole incontro, ma la vicenda pare non riscuotere attenzione alcuna se non dal giovane Radmann. Egli prende a cuore la questione ed insieme al giornalista scova i documenti che gli permetteranno di iniziare le indagini.

Fritz Bauer, figura realmente esistita interpretata da Gert Voss, è il Procuratore Generale, l’unico che appoggia Radmann nella sua avventura da eroe. Ha sulla scrivania una foto di Marco Antonio, simbolo di idealismo ed umanità: valori che rispecchiano la sua indole. Da anni Bauer spera che quei fatti finiti nel dimenticatoio vengano alla luce, affiderà a Radmann tutte le indagini, considerandolo imparziale proprio perché giovane e quindi estraneo alle vicende accadute all’epoca del nazismo.

Così il protagonista si addentra in quel labirinto variopinto in cui facile è l’entrata ma non altrettanto si può dire dell’uscita, almeno non prima di averne esplorato tutte le vie fatte di commozione, ira, dolcezze e seduzione, un pizzico di pungente ironia e immancabilmente anche di follia nel cui vortice il protagonista rischierà più volte di essere risucchiato.

A condurlo in quest’ultima via sarà in primis l’ossessione, che prenderà forma anche di incubi notturni, verso uno dei tanti responsabili delle atrocità di Auschwitz, un cosiddetto “dottore” la cui orribile e veritiera identità è descritta proprio da Simon Kirsch in uno dei momenti più commoventi del film.

Simon è uno dei pochi sopravvissuti, tornato dalle atrocità dei Lager dipinge un quadro “L’angelo della morte“. All’epoca del conflitto si trovava ad Auschwitz con la moglie e le figlie, due gemelline strappate via da quel crudele uomo vestito di bianco che solo le parvenze aveva di un angelo, e le cui terribili azioni diventano nella mente del giovane procuratore il punto focale su cui concentrare le indagini.

Recensione e analisi de “Il labirinto del silenzio”

Il protagonista appare fin dall’inizio del film come un uomo che crede fermamente nella legge e nella giustizia, determinato e pignolo anche nelle piccole questioni, come ad esempio nella causa in cui non fa sconti alla ragazza che fa un’infrazione con l’auto e che non ha i soldi per pagare interamente la multa, non dimostra compassione perché “la legge non ammette eccezioni” e pur di farla rispettare così nella sua originalità preferisce contribuire egli stesso al pagamento, pur di non fare favoritismi.

La ragazza, nel film Marlene Wondrak interpretata da Friederike Becht, rappresenta la via della dolcezza e della luce in quel labirinto oscuro di perdizione e di colpe da cui nessuno sembra essere esente e in cui il protagonista procede allo sbando verso una via d’uscita che si rivela un vicolo cieco.

Radmann, infatti, fedele ai suoi principi e ad i suoi valori, procede con le indagini con massima scrupolosità, passando in rassegna tutti i testimoni, vittime sopravvissute all’Olocausto, di cui viene mostrata una serie veloce di volti, tutti segnati negli occhi e nel viso da una sofferenza incancellabile.

A questa schiera di volti ne corrisponde un’altra nel corso del film, quella di tutti i colpevoli che vengono arrestati dal giovane procuratore, che nelle indagini si fa aiutare a spulciare gli innumerevoli documenti delle SS dal collega Otto Haller e dalla segretaria  dell’ufficio del pubblico ministero Erika Schmitt, interpretati rispettivamente da Johann von Bulow e Hansi Jochmann. Anche questa schiera opposta è segnata da un qualcosa di simile, la tristezza di una colpa solo occultata ma mai cancellata, che vive negli occhi di ognuno di essi e li perseguita. Il fatto di “aver solo eseguito gli ordini” per Radmann non è una giustificazione, tutti sono colpevoli e devono pagare per ciò che hanno fatto, la responsabilità di tutti i milioni di morti non può essere addossata solamente ad Hitler, ognuno deve pagare il prezzo dei propri errori.

Chiave di lettura e spunti di riflessione

A controbattere questa teoria e a sostenere la posizione del silenzio come miglior scelta è il Pubblico Ministero Capo Walter Friedberg, interpretato da Robert Hunger-Buler, il quale pone al giovane procuratore la domanda che può essere considerata la chiave di lettura dell’intero film “Vuoi che ogni singolo giovane debba chiedersi se suo padre fosse un assassino oppure no?“. Da lì a poco busserà alla porta del protagonista proprio la famiglia, nel momento meno opportuno, rilasciandogli la rivelazione che darà lui la prima scossa verso un cambiamento delle prospettive. Prima che questo cambiamento avvenga rischierà di perdersi nel buio del labirinto, mettendo a rischio quella che era la sua “luce”, ovvero il rapporto con Marlene che si metaforizzerà alla fine con la similitudine di una giacca scucita, in quanto la ragazza è proprietaria di un Atelier nel quale vende le sue creazioni vestiarie.

Vacillerà per simili motivi anche il rapporto con il giornalista Gnielka,  colui che ha dato lo spunto all’inizio delle indagini, finché Radmann non si renderà conto del vero scopo di esse, e dopo averle momentaneamente abbandonate tornerà in gioco per mettere fine a quello che aveva iniziato guardando il tutto sotto una luce diversa.

Il punto cardine del film, infatti, non è che i colpevoli paghino per i fatti commessi, ma che le loro storie e quelle delle vittime vengano alla luce e siano conosciute da quei giovani che ignoravano l’esistenza e la funzione dei Lager così che atrocità simili non siano più commesse.
Questo è il messaggio che il film vuole trasmettere, ed è sottolineato dal regista con una sceneggiatura fedele in linea di massima con la realtà, frasi messe in bocca a Fritz Bauer come “non si tratta di capire chi è colpevole o innocente” esplicano  tale messaggio.

È un film che vuole educare, infatti è stato ritenuto propedeutico da molti insegnanti che hanno avuto occasione di vederlo, così che sono state fatte convenzioni per le scuole in modo tale da mostrare anche lì per la prima volta da un lato diverso le atrocità del nazismo: il lato di una Germania catturata in questa pellicola nelle sue diverse sfumature di colpevolezza e innocenza, di giustizia e ingiustizia, di pentimento e non, di perdono e condanna.

Il film si regge su una struttura drammaturgica classica, che per ammissione del regista era un rischio di farlo passare per commerciale e sminuirne il senso, ma è stata una scelta voluta per attirare la grande maggioranza di pubblico, rendendolo invece un film di intrattenimento e carico di emozioni così da differenziarlo dai soliti film che ci si aspetterebbe per questa tematica. Non manca infatti una sottile ironia che a tratti smorzi il tono serio e mostri la volontà del regista di alleggerire per brevi tratti il ritmo carico di tensione su cui si muove la narrazione, altro segno di come la produzione volesse prestare attenzione il più possibile alle esigenze di un pubblico vario.

Cast e significato del titolo

La scelta del cast, formato da attori promettenti ma per la maggior parte ancora non noti al grande pubblico, è stata un’altra conferma di questa premura. Ogni attore è completamente diverso dall’altro, il protagonista ed il giornalista, che in tutto il film sono spesso la coppia che agisce sempre insieme, ne sono un esempio. Tale scelta non è nemmeno casuale, ma è indice della volontà del regista di facilitare il riconoscimento dell’individualità di ogni personaggio agli spettatori,  evitando il rischio di confonderli.

Per quanto riguarda il titolo del film, in tedesco la traduzione esatta è “Il labirinto del tacere“, tratto dal titolo di un libro “Il labirinto della colpa“, quest’ultima sembrava una parola troppo forte che non si conciliava perfettamente con la tematica del film, appunto perché la questione di base non era quella della colpevolezza bensì quella della lotta contro il silenzio. Un’altra osservazione importante che il regista fa in merito alla tematica base del film è che mentre la colpa è da considerarsi individuale, la responsabilità è collettiva e quindi di ogni giovane tedesco che non deve dimenticare le colpe che i “padri” hanno commesso.

Conclusione

Un film che fa significativamente riflettere, sopratutto se si pensa alla condizione attuale in cui vertono le istituzioni: la guerra in Siria, gli attentati dell’Isis, i bombardamenti delle grandi potenze mondiali. Se è vero che la storia si ripete, la “memoria” in questo film accresce ancor più la sua importanza e la nostra responsabilità, affinché la dottrina dell’eterno ritorno di Nietsche non trovi compimento.

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