Migranti: 700 volte vergogna

Pubblicato il 20 Apr 2015 - 1:25pm di Irene Masala

Nessuna marcia, nessun hashtag virale sui social, nessuna voce che grida la propria indignazione per la scomparsa di oltre 700 persone nel Canale di Sicilia. Ammassati in un peschereccio dai 20 ai 30 metri, sono salpati in 900 dal porto di Tripoli, pronti ad affrontare la pericolosità del mare pur di cercare una vita dignitosa. A mezzanotte scatta l’allarme che attiva i soccorsi della Squadra Mobile della Guardia Costiera, il barcone è affondato a circa 120 km dalla costa libica e numerosi migranti erano stati chiusi nella stiva dai trafficanti. “Eravamo in 950. C’erano anche 200 donne e 50 bambini con noi. In molti erano chiusi nella stiva: siamo partiti da un porto a cinquanta chilometri da Tripoli, ci hanno caricati sul peschereccio e molti migranti sono stati chiusi nella stiva. I trafficanti hanno bloccato i portelloni per non farli uscire”, questa la ricostruzione di un giovane del Bangladesh tra i 28 superstiti del naufragio.

Quel Mediterraneo che in passato è stato culla di civiltà è oggi tomba delle civiltà. Si sprecano i “mai più”, da Papa Francesco al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, gli appelli alla comunità internazionale, all’Unione Europea affinché si risolva una volta per tutte questa catastrofica situazione, in cui l’Italia si trova imbrigliata senza avere le capacità per gestirla, non solo quando il problema si manifesta in mare, ma nemmeno sul territorio nazionale. “C’è bisogno di interventi mirati sugli scafisti, persone che vanno affidate alla giustizia. L’Italia ne ha arrestati 976, possibile lo facciamo solo noi?”, le parole con cui il Presidente del Consiglio Renzi sollecita una presa di posizione europea sull’accaduto e sul trattato di Dublino.

In effetti erano necessari altri 700-900 morti per storcere in naso, non bastavano i 950 morti in soli quattro mesi, dall’inizio del 2015, per darci la proporzione del disastro umanitario che si consuma quotidianamente davanti alle nostre finestre, mentre noi guardiamo tranquilli il tramonto. Non basta sapere che queste persone, quelle che riescono a sopravvivere al deserto prima ancora che al mare, rimangono bloccate anche un anno sul territorio nazionale prima di ricevere una risposta definitiva sul loro status di richiedenti asilo. Cos’altro deve succedere perché si cambi la modalità di azione, si modifichi la legge Bossi-Fini che intrappola i migranti in un limbo senza fine con enormi costi sociali? Quante altri barconi devono naufragare per smuovere le nostre coscienze capaci di un inspiegabile empatia selettiva?

Info sull'Autore

Laureata in Scienze Politiche e Giornalismo ed Editoria, da anni si occupa di geopolitica e relazioni internazionali, con particolare interesse per il Medio Oriente e il conflitto arabo-israeliano. Due grandi passioni, scrivere e viaggiare, l'hanno portata a trascorrere gli ultimi sei anni tra Roma, Valencia e Israele/Palestina. Ha inoltre frequentato il Master in Giornalismo Internazionale organizzato dall'IGS (Institute for Global Studies) e dallo Stato Maggiore della Difesa, nell'ambito del quale ha avuto modo di trascorrere due settimane come giornalista embedded nelle basi Unifil in Libano.

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