Oriundi si o oriundi no?

Pubblicato il 26 Mar 2015 - 10:32am di Andrea Mollas

Un polverone mediatico, che non accenna a fermarsi. Quello degli oriundi è sicuramente l’argomento clou di questi giorni, da quando il ct della nazionale Antonio Conte, diramando la lista dei convocati per il doppio impegno degli azzurri, ha inserito i due “italiani” Vazquez e Eder.

Da lì è stato un susseguirsi di pareri: da Mancini, il quale ha fortemente rimarcato il concetto (calcisticamente parlando) l’ Italia agli italiani, ad alcuni giocatori della nazionale che considerano l’innesto dei due centrocampisti delle frecce in più nell’ arco azzurro.

Ma chi ha ragione? Sicuramente è giusto affidare la nazionale a chi in quella nazione ci è nato e cresciuto. Il senso di appartenenza funziona come una sorta di integratore naturale, permette di buttare il cuore oltre l’ostacolo, di tirare fuori quel qualcosa in più solo per vedere il proprio paese vincere. Cosa che magari può non avvenire in un giocatore venuto in Italia in età avanzata. Certamente sente il peso della responsabilità, ma è anche vero che dentro di se non potrà avere quella sensazione che si ha nel rappresentare il posto che ti ha visto nascere e crescere.

Ma da che mondo e mondo, un detto comune dice mai rinnegare le proprie origini e questi “stranieri” fanno qualcosa che ogni italiano farebbe: vanno in giro a rimarcare fieri la propria appartenenza, nonostante non siano nati e cresciuti nella nostra penisola.

E questo dimostra come quello degli oriundi è un problema che non sussiste. Inutile cercare di mostrare il tutto con questa maschera di ipocrisia. Anzi, può essere vista come una soluzione attuata per far fronte ad uno dei tanti problemi di un sistema calcio debole, che non sa mettere le toppe neanche per quanto riguarda la valorizzazione dei nostri giovani da poter portare un giorno nella nazionale maggiore. Si lucra troppo su questi ragazzi, mettendone in secondo piano la crescita calcistica per poter mettere al primo posto il dio denaro (vedere Valdifiori e la sua prima convocazione a 27 anni per credere).

Eppure nessuno si è lamentato della presenza in nazionale di Camoranesi nel 2006, quando la nazionale di Marcello Lippi fece ritorno alla base con in mano una Coppa del Mondo. Anzi, è stato portato in trionfo come tutti, come un guerriero tornato dalla battaglia vincitore con il nostro vessillo al vento, noncuranti delle sue origini o meno; in quel momento eravamo tutti italiani.

D’altronde lo ha detto anche un certo Goffredo Mameli: di quest’ Italia siamo tutti fratelli.

Info sull'Autore

Nato a Roma, 23 anni, laureando in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'università "La Sapienza" di Roma. Aspirante giornalista, grande passione verso lo sport e la scrittura, sempre alla ricerca di novità da raccontare. Collaboro con la testata giornalistica Corretta Informazione.it.

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